venerdì 23 settembre 2016

Brad, Angelina e gli altri VIP

E' di questi giorni la notizia del divorzio tra Brad Pitt e Angelina Jolie. Una coppia che non ha bisogno di presentazioni.

Come in tutte le coppie ora inizierà la battaglia legale per i figli, ci saranno accuse reciproche, sospetti di tradimento, richieste economiche.

Un film già visto.

Un film che viene trasmesso in molte case, protagonisti attori del tutto sconosciuti, che non avranno mai un volto, una voce, una richiesta di autografi, uno stipendio miliardario.

Noi, insomma. Le persone normali.

Se non altro il buon vecchio Brad i figli, fra naturali e adottati, li ha avuti tutti con Angelina.

Ma c'è chi i figli li ha da partner diversi : mi viene in mente la nostra Alessia Marcuzzi, due figli di cui uno da Simone Inzaghi e l'altro da Francesco Facchinetti (almeno, così era l'ultima volta che ne ho sentito parlare, poi non so se nel frattempo ne ha avuti altri con nuovi compagni : per informazioni bibliografiche consultare le annate recenti di Novella 2000 e riviste del settore).

Naturalmente questo capita anche nelle famiglie comuni, non famose, non-VIP.


Qui io non voglio difendere la famiglia tradizionale, concetto del resto ormai superato da ben prima dell' "esplosione", per così dire, dei diritti rivendicati dalle persone GLBT (universo, questo, di cui parleremo in un successivo post).


Voglio invece parlare del comportamento dei VIP, siano essi attori, cantanti, calciatori o altro, e del fatto che le persone normali si identifichino in loro, elevandoli a modelli.

Io credo, forse ingenuamente, che quando una persona diventa famosa debba rendersi conto (possibilmente in modo autonomo, ma va bene anche se a dirglielo è qualcuno dell'entourage) che da quel momento in avanti diventerà, per le persone comuni, un modello da ammirare e imitare.

Credo che il novello VIP debba sempre tenere ben presente da dove viene, non dimenticarsi le sue origini, le sue radici. Ricordare che, al di fuori delle belle case, delle auto sportive, degli alberghi a sei stelle, delle barche, delle feste esclusive, c'è il mondo vero da cui lui/lei proviene.

Spesso i VIP si impegnano in cause umanitarie - vedi la stessa Angelina Jolie che è ambasciatrice dell'ONU, o Shakira che ha istituito la fondazione Pies Descalzos per aiutare i bambini poveri del Sudamerica - mettono il loro nome e il loro volto in campagne dai buoni propositi, fanno donazioni e così via :

non metto in dubbio che, in qualche caso, il loro sia un interesse sincero, dettato da veri sentimenti ;

ma in quanti altri casi questo impegno è loro imposto da esperti di marketing, che ben sanno quanto una foto vicino al bambino africano o all'animale maltrattato rappresenti un'impennata di popolarità, e quindi di soldi, di contratti, di affari (i quali si riverberano a catena dal VIP a tutti coloro che ne organizzano la vita, costruiscono il suo personaggio, la sua carriera, il suo successo) ?


In Italia abbiamo, ormai da anni, l'accoppiata calciatori/veline. Lui guadagna in popolarità portandosi a letto, ed eventualmente sposando, una bella ragazza. Lei, spentesi le luci della ribalta, conserva un po' di quel luccichio facendosi vedere accanto a lui (è un fatto che molte tra le ultime veline passate sul bancone di Striscia La Notizia sarebbero state immediatamente dimenticate se non avessero sposato/frequentato calciatori).

In America un/una giovane cantante o attore/attrice, appena raggiunge il successo, giura che mai lascerà il partner storico, il fidanzato/a di sempre, che non si farà cambiare dalla stratosferica fama raggiunta...salvo poi iniziare a frequentare colleghi e colleghe del nuovo mondo dorato e, combinazione, lasciare il vecchio partner non glamour per dare il via a una girandola di amori e amorazzi con altri VIP, non necessariamente dello stesso settore lavorativo (vedi ad esempio la coppia, ormai anch'essa scoppiata, tra Gwineth Paltrow e Chris Martin, attrice lei e cantante lui) ma sempre obbligatoriamente famosi.
 E se ogni tanto la popolarità sembra appannarsi basta annunciare di aver avuto una relazione con un partner dello stesso stesso (che sia vero o no poco importa), o anche solo limitarsi a dire "Mi piacerebbe averla", che subito gli indici risalgono di nuovo. Naturalmente anche questa è, quasi sempre, una mossa pianificata dagli esperti di marketing.


In Italia i calciatori, ovvero i VIP più VIP di tutti i VIP, sono nella stragrande maggioranza dei casi degli ignoranti cosmici. Inevitabile, dal momento che si sono dedicati fin da giovani alla carriera sportiva. Però è veramente squallido sentirli parlare nelle interviste, vederli in difficoltà nel mettere due parole in fila, ripetere come un mantra "Abbiamo fatto bene". Di solito si rendono conto che carriera, fama e guadagni dureranno poco, ma non sanno pianificare il proprio futuro, né hanno gli strumenti per farlo. Così una volta appese le scarpette al chiodo spesso perdono molti soldi in investimenti sbagliati e vivacchiano come commentatori televisivi o con ruoli dirigenziali nell'ultima società per la quale hanno giocato (perché naturalmente ne hanno cambiate molte, troppe : i giocatori-bandiera non esistono più, l'ultimo è Totti) : lavori che sanno tanto di elemosina, di pietà, di concessione, anche se magari con uno stipendio di tutto rispetto.



In America, considerando sia i cantanti sia gli attori, ci sono molti VIP che, invece, una testa ce l'hanno e la sanno usare. Tra i primi possiamo citare : Beyoncé, una vera macchina da guerra ; Lady Gaga, che ha ben imparato la lezione di Madonna, di cui è la vera erede ; e la stessa Madonna, la cui stella si è offuscata semplicemente per raggiunti limiti di età ma che rimane l'esempio a cui tutte le nuove generazioni guardano con rispetto.
 Naturalmente c'è anche chi, diventato ricco e famoso troppo giovane e troppo in fretta, si è bruciato. Il caso più celebre è Britney Spears, nota ormai più per le vicende giudiziarie e per le intemperanze fisiche che non per le canzoni, per altro già non memorabili.
 E molti, dopo la breve stagione del successo, finiscono a cantare nei casinò di Las Vegas, ultima fermata prima dell'oblio.

 Quanto agli attori, non si può non citare Sharon Stone, nota ai più per la celebre scena di Basic Instict e che invece fa parte del MENSA, l'associazione internazionale di persone con un Quoziente Intellettivo superiore alla media.



Insomma, i VIP, nostrani e internazionali, sono in fondo come noi. Alcuni più brillanti, altri nella media, altri decisamente poco intelligenti. Alcuni seri e posati, altri eccessivi. Alcuni felici all'interno del matrimonio, altri fedifraghi.
 In più di noi hanno solo i soldi, che però a ben vedere si meritano tutti :

ad accomunare attori, calciatori e cantanti (ma anche scrittori, registi, stilisti) infatti è il talento, che è un dono innato, e quindi non invidiabile. O ce l'hai o non ce l'hai.
 Il talento va coltivato, sviluppato, indirizzato. Tutti hanno lavorato duro per arrivare dove sono. Può darsi il caso del colpo di fortuna, del produttore cinematografico che vede una cameriera e decide di farne un'attrice, ma personalmente ritengo che sia soprattutto un mito.

Fanno forse eccezione i volti televisivi (italiani almeno, non so come sia in altri Paesi) : lì sì che per sfondare ci vuole fortuna, ci vogliono compromessi, ci vogliono accordi sottobanco. Parlo naturalmente di conduttori e soubrette varie, non dei giornalisti, i quali svolgono un mestiere che per la sua particolare natura prevede di mostrare il loro viso : ma per un mezzobusto del TG, uomo o donna che sia, ci sono migliaia di colleghi della carta stampata noti, se va bene, per il nome ma altrimenti invisibili.


Voler imitare i VIP dovrebbe significare mettersi d'impegno come hanno fatto loro, non scimmiottarli con pettinature, tatuaggi, vestiti.
Dovrebbe significare osservarli per capire i loro errori, che sono gli stessi nostri, non sognare il loro stile di vita.
Dovrebbe significare imitare i loro comportamenti virtuosi e condannare quelli sbagliati, che di nuovo sono gli stessi nostri, non avere il loro poster in camera.


E i VIP dovrebbero rendersi conto che, rappresentando un modello per molti, devono necessariamente porre maggiore attenzione ai propri comportamenti, alle proprie parole, alle proprie reazioni.

E' il prezzo della fama.

Ed è giusto pagarlo : se hai ricevuto tutto non puoi non dare indietro niente.

martedì 20 settembre 2016

Il nostro posto nel mondo - parte terza

Abbiamo chiuso la seconda parte domandandoci se gli esseri umani si siano evoluti rispetto ai tempi preistorici o se, fatti salvi i cambiamenti tecnologici e sociali, siamo in fondo sempre gli stessi.

Di sicuro abbiamo sviluppato il LINGUAGGIO. Ma non siamo stati i soli, come vedremo tra poco.

Infatti che cos'è il linguaggio ? Un insieme di suoni, variamente combinati, che servono a vari scopi :

sottolineare le emozioni

esprimere i concetti

indicare con precisione gli oggetti

comunicare con gli altri appartenenti al gruppo


Nessuno di questi usi del linguaggio è esclusivo o tipico degli esseri umani. Né lo è il linguaggio stesso : ogni specie animale ne ha uno, dal "canto" delle balene ai latrati dei cani, dalle strida degli uccelli agli schiocchi dei delfini.
Esistono anche linguaggi non basati sull'emissione di suoni. Le formiche ad esempio comunicano attraverso uno scambio di informazioni chimiche. Le api comunicano con il movimento (la "danza" di un'ape serve per indicare alle compagne dove si trova una fonte di cibo, la distanza e la direzione rispetto al favo).


Non dobbiamo dunque pensare che solo per il fatto di parlare, di produrre suoni articolati, siamo superiori agli altri animali. Quello umano è solo uno dei possibili linguaggi. Se non siamo in grado di capire i linguaggi delle altre specie, questo non vuol dire che non esistano.



Bisogna dunque abbandonare la prospettiva antropocentrica che ci accompagna ormai da svariati millenni.
 L'uomo non è la creatura perfetta, né l'ultimo e definitivo anello dell'evoluzione.
 Non siamo i padroni del mondo, al contrario : la Natura ci dimostra spesso e volentieri come, nonostante tutta la nostra tecnologia e la nostra (supposta) intelligenza, siamo sempre in balia delle sue decisioni e dei suoi cambi d'umore.



In cosa allora ci siamo evoluti rispetto ai tempi preistorici ?

L'aumento delle dimensioni del cervello, e quindi l'accrescimento dell'intelligenza, ci distingue dai nostri lontani progenitori.

Ma chi ci dice che anche altri animali non possano percorrere il nostro stesso cammino ?

(se ne avranno il tempo, naturalmente, e non si estingueranno prima : estinzione che sarà, o sarebbe, causata proprio da noi)


Gli animali, lo abbiamo visto, devono risolvere pochi e fondamentali bisogni :

procurarsi il cibo - sopravvivere ai predatori - accoppiarsi e riprodursi

E noi non facciamo forse lo stesso ? Abbiamo inventato la cultura e la società per ricoprire con una patina di (finta) ragione e di (finta) morale queste basilari necessità biologiche.

Abbiamo inventato l'amore per sopportare la fatica fisica di cercarci un partner, corteggiarlo, allontanare i rivali e infine consumare il rapporto sessuale.

Infine abbiamo inventato la religione, perché ci sembrava impossibile che la vita, la nostra vita, che crediamo preziosa, impareggiabile, magnifica, fosse solo un susseguirsi di atti dettati dall'istinto.



Ecco dunque qual è il nostro posto nel mondo. Siamo animali tra gli animali, e come gli altri siamo guidati dall'istinto e sottoposti alle decisioni della Natura.
Una banalità, certo. Ma proprio perché è tale, perché la riteniamo ovvia, non ci pensiamo più, la liquidiamo con una scrollata di spalle.

Crediamo di aver imbrigliato le forze della Natura, di poterle usare per i nostri scopi (civili o bellici che siano), di essere al di sopra delle sue leggi, della sua volontà, dei suoi mutamenti.

Non è così.

Si può discutere se la NOSTRA ESTINZIONE avverrà per mano della Natura o se saremo noi stessi a porre fine alla nostra esistenza come specie.

Ma di una cosa possiamo essere certi : anche per noi, come per gli esseri viventi che ci hanno preceduto e che parevano dominare la Terra, un giorno arriverà la parola...

FINE.



venerdì 16 settembre 2016

Il nostro posto nel mondo - parte seconda

Abbiamo concluso la prima parte con una domanda :

qual è la caratteristica che ci rende diversi dagli altri animali ? (attenzione, ho detto diversi, NON "superiori")

Lo sviluppo di un pollice opponibile negli arti anteriori, ormai affrancati dal compito di sostenere il corpo, può essere una parziale risposta.

Va detto che non siamo stati i primi organismi a possederlo : i più recenti studi sui dinosauri, che hanno completamente trasformato l'idea che gli studiosi in primis, e poi il grande pubblico, avevano dei rettili preistorici fino a pochi anni fa, hanno riscontrato la presenza di questa caratteristica biologica in alcune specie, già note tra l'altro per essere significativamente più intelligenti rispetto alle altre (sebbene l'idea dei dinosauri come lucertoloni stupidi e lenti sia del tutto falsa e dimostrata come tale già da tempo).

Ma fu una specie di Primati a sfruttare questa caratteristica per un uso nuovo.

L' Australopithecus è ancora oggi considerato il più antico antenato degli esseri umani moderni. L'albero genealogico della nostra specie si è ampliato, arricchito e complicato molto rispetto ai pochi nomi che troviamo su ogni libro di scuola, ma in linea generale la successione classica può essere considerata ancora valida.
 Siamo, è bene ricordarlo, nel cuore dell'Africa. La paleoantropologia ritiene probabile che l' Australopithecus usasse pietre e bastoni per difendersi dai predatori, o anche per spaventarli e costringerli ad abbandonare le prede appena uccise. A quell'epoca i nostri antenati non erano ancora in grado di cacciare in proprio, e quindi dovevano accontentarsi degli avanzi degli altri. Quindi, nelle prime fasi della nostra esistenza, siamo stati animali spazzini, mangiatori di carogne né più né meno che gli avvoltoi, gli sciacalli e le iene (animali che ancora oggi ci fanno ribrezzo, al punto che le parole stesse che li definiscono hanno assunto, nel linguaggio, una connotazione dispregiativa : forse, in qualche modo, ci ricordiamo di quei tempi...).


 Fin qui, comunque, non c'è ancora nulla che ci distingua in modo netto dagli altri animali. Molte altre specie usano oggetti particolari, come pietre o bastoni di varia grandezza, per procurarsi il cibo.
 Citiamo tre casi divenuti molto famosi anche al di fuori della cerchia scientifica :

una specie di fringuello delle Isole Galapagos, scoperto e studiato nientemeno che da Darwin, raggiunge gli insetti di cui si nutre, nascosti nelle cavità degli alberi, infilzandoli con una spina che tiene col becco.

gli scimpanzé, quando vogliono nutrirsi di térmiti, prendono un bastoncino lungo e sottile, lo introducono nei termitai, poi lo estraggono e mangiano le térmiti rimaste attaccate. E varie altre specie di scimmie sono state osservate mentre usano pietre per rompere i gusci duri di frutti.

alcune specie di lontra usano delle pietre per rompere i gusci delle ostriche.


Fin qui, dunque, siamo in presenza di oggetti - pietre, bastoni, spine - che si trovano disponibili in natura. I processi cognitivi che permettono di immaginarne l'uso sono tipici, è vero, solo di alcune specie animali, ma non vi è ancora una differenza marcata.


Poi, sulla scena del mondo, comparve una nuova specie di Primate : l' Homo abilis.
 Siamo sempre in Africa, e da lì non ci muoveremo ancora per parecchi milioni di anni. Questo nostro progenitore, il primo appartenente al nuovo genere "Homo", è chiamato abilis perché ha imparato a fare una cosa straordinaria, nuova, sconvolgente.

Se trova una pietra, non la usa così com'è, ma la trasforma. Battendola contro un'altra, la fa diventare appuntita, capace di tagliare, oltre che più comoda da essere tenuta in mano.

E' il primo caso di modifica dell'ambiente da parte di una specie animale.

Da qui, in appena un battito di ciglia (se rapportato ai tempi geologici del pianeta) arriviamo ai razzi per andare sulla Luna, alle bombe atomiche, ai computer.

Tutto è iniziato qui.


Ecco cosa ci rende davvero diversi (di nuovo, diversi, NON superiori) agli altri animali.

Gli animali, per sopravvivere, si adattano all'ambiente.

Gli esseri umani, per sopravvivere, adattano l'ambiente alle proprie necessità.


E' da qui che nasce la concezione, imperante ancora oggi, di una Natura che deve essere asservita, piegata, sottomessa ai voleri dell'essere umano, signore e padrone dell'intero pianeta.

La stessa concezione che ci fa costruire case vicino ai fiumi, non curandosi del fatto che possono straripare ("straripare" è parola migliore di "esondare", come ben disse Guccini).

La stessa concezione che ci fa parlare di "tragedie", come se alla Natura importasse dove abitiamo, cosa facciamo, come viviamo.

La stessa concezione che ci porta a lamentarci d'inverno perché fa freddo e d'estate perché fa caldo.



Gli esseri umani hanno cambiato il volto del pianeta Terra. E tutto è partito da quella pietra resa più aguzza.

Ma, da allora, cosa sono diventati gli uomini ? Sono cambiati, si sono evoluti o sono, in fondo, sempre gli stessi ?

Lo scopriremo nella prossima puntata !

lunedì 12 settembre 2016

Il nostro posto nel mondo - parte prima

Terminate le ferie e passato anche l'anniversario dell' 11 Settembre, con i suoi articoli, i suoi commenti, le sue riflessioni uguali ogni anno, è tempo di riprendere il nostro viaggio.

Oggi voglio interrogarmi sul nostro posto nel mondo. Non come Italiani, né come Europei, né come Occidentali. Semplicemente come esseri umani.

Negli articoli dedicati alla violenza sulle donne ho parlato brevemente dei primordi della storia umana. Ora facciamo un altro passo indietro.

Provate a immaginare la Terra all'alba dei tempi. I primi organismi viventi, per nutrirsi, hanno adottato due strategie : cercare il cibo nell'ambiente o fare di altri organismi il loro cibo.

Siamo a circa 3,5 miliardi di anni fa. La Terra ha già un miliardo di anni. Da allora nulla è cambiato. Gli esseri viventi nascono, vanno in cerca di cibo, investono gran parte delle loro energie per riprodursi e infine muoiono.
E' stato sempre così, per centinaia di milioni di anni.

L'esistenza della vita sulla Terra ha corso varie volte il rischio di sparire completamente. Cambiamenti climatici di portata planetaria, innalzamento e abbassamento dei mari, spostamento dei continenti hanno condotto la vita sull'orlo dell'estinzione. CINQUE VOLTE.
 Il famoso asteroide che uccise i dinosauri fu una semplice spintarella verso un processo ormai in atto già da molto tempo : i dinosauri si sarebbero estinti anche senza la botta del sasso venuto dallo spazio.

Tra un periodo di crisi e l'altro, la vita sulla Terra ha seguito i suoi ritmi immutabili, sempre uguali a se stessi.
 Dopo la scomparsa dei dinosauri venne l'ora dei mammiferi, animali a noi più familiari.

La Terra, a quei tempi, doveva essere abbastanza simile a quello che le varie religioni umane descriveranno come il Paradiso terrestre. Mari solcati solo da pesci e balene, cieli limpidi di giorno e illuminati da miriadi di stelle la notte, distese di erba e di foreste per migliaia di chilometri quadrati.

Pensate a quella che oggi è la Pianura Padana : un tempo era un'unica, immensa foresta, che si estendeva dalla Francia alla Slovenia. Oggi di essa rimane quasi solo la pineta di Classe, vicino a Ravenna. Certo non è tutta colpa di noi moderni, anche gli antichi Romani ci hanno messo del loro. Ma la situazione è questa.

Pensate a quella che oggi è la Costa Orientale degli Stati Uniti, con le immense città di New York e Boston : fino all'arrivo di Colombo vi era una sola, grande foresta, che si estendeva dalla Florida su su per tutti gli USA e il Canada fino a lambire il Circolo Polare Artico. Gli Indiani la rispettavano, la veneravano, ci vivevano e da essa traevano il loro sostentamento, e la stessa cosa facevano gli indios del Sudamerica nella giunga amazzonica.



Tra i vari mammiferi che popolavano la Terra emerse un gruppo particolare : i Primati.
Oggi è cosa nota, ma mai abbastanza ripetuta, che gli esseri umani hanno il 98% dei geni in comune con le grandi scimmie, come i gorilla, gli scimpanzé e gli oranghi (degli oranghi una curiosa leggenda dell'Asia sudorientale dice che sanno parlare, ma che non lo fanno per non essere costretti a lavorare).

Ma in cosa siamo diversi ? Proviamo a esaminare le varie caratteristiche che, di volta in volta, sono state indicate come esclusive dell'umanità.


La capacità di camminare eretti ? NO, è un normale adattamento dell'evoluzione. I Primati da cui si evolsero gli antenati dell'uomo vivevano sugli alberi, nelle fitte foreste dell'Africa. Poi i cambiamenti climatici portarono a una riduzione delle foreste e alla nascita delle savane. In quelle distese di erba alta più di un metro era difficile avvistare per tempo i predatori, quindi si rese necessario procedere solo sulle zampe posteriori, per alzare la testa e avere una visuale più ampia.


La tendenza ad avere un'organizzazione sociale ? NO, molti altri animali ce l'hanno. I leoni (unici tra i grandi felini), i lupi, i delfini vivono in società complesse e gerarchizzate. La famiglia è il fondamento di questa organizzazione, in cui ogni individuo ha il suo posto ed è importante per il funzionamento di tutto il gruppo.
 Bisogna poi citare il caso delle formiche, delle api e delle térmiti, i cosiddetti "insetti sociali". La loro organizzazione prevede il superamento dell'individuo e l'esistenza di quello che è stato chiamato "super-organismo". Un'idea che funziona, dal momento che le formiche in particolare non solo esistono da milioni di anni, ma hanno una massa complessiva che supera di varie volte quella degli esseri umani. Un'organizzazione parallela, ben più vincente della nostra.


Il pollice opponibile e quindi la versatilità delle zampe anteriori, che non dovendo più sostenere il peso del corpo si sono specializzate in altri usi ? FORSE.


Nella prossima puntata vedremo perché.



mercoledì 27 luglio 2016

Salone del Libro, Torino, Milano : una riflessione.

E' infine arrivata la notizia, attesa ma non per questo meno temuta.

Dal 2017 ci sarà un Salone del Libro anche a Milano.

A Torino ci sarà ancora l'edizione del trentennale, ma poi ?

Prima di mettersi a piangere recriminando che "ci hanno portato via anche questo" vediamo di fare un attimo il punto.


   Il Salone del Libro è nato nel 1987. Io avevo sei anni. Sapevo leggere già da uno, e da allora non mi sono perso un'edizione. Ricordo ancora e ricorderò sempre la gioia provata quando, dopo la scuola, mia mamma e mia nonna mi portavano al Salone. Per me era quello il massimo, la "figata", ben più che trovarmi in un negozio di giocattoli e scegliere quello che volevo (cosa successa anche questa, più volte: ammetto di essere stato un bambino fortunato).

All'epoca il Salone si teneva a Torino Esposizioni. Era ancora piccolo e poco conosciuto, una manifestazione quasi di nicchia. Forse a causa della mia verde età del tempo non ricordo bene come fosse fatto, o quali fossero le differenze rispetto alle edizioni successive, quando traslocò al Lingotto Fiere.
 Inoltre, appunto dopo il trasloco, la ripetizione, anno dopo anno, della stessa identica formula, con la stessa organizzazione degli spazi, la stessa cartellonistica, lo stesso design, ha inevitabilmente cancellato dalla memoria quello che c'era prima.

Nonostante questo io ho sempre trovato la ripetizione rassicurante. Sapere che, ogni anno, avrei ritrovato le stesse cose nello stesso posto mi faceva stare bene. Avrei potuto camminare a occhi bendati e non mi sarei perso, avrei saputo sempre esattamente quale stand si trovava di fronte, dietro e di fianco a me.

I primi tempi tornavo a casa carico di libri. Poi, seguendo il consiglio di mia mamma, che mi aveva dimostrato come, in fondo, i testi delle Case Editrici famose si trovassero normalmente anche nelle librerie, ogni giorno, sono diventato più selettivo, concentrandomi sui volumi pubblicati dalle Case Editrici più piccole e meno note.
 Ho inoltre imparato a concentrare gli acquisti alla sera dell'ultimo giorno, il lunedì, quando molti stand applicavano sconti anche notevoli, per l'ovvia ragione di volersi liberare di quanta più roba possibile prima di rifare i bagagli.

Negli ultimi anni poi, un po' grazie ai master di editoria che ho frequentato, che mi hanno fornito di pass gratuiti come "operatore del settore", e un po' agli abbonamenti fiera, ho passato dentro il Salone tutti e cinque i giorni, dal giovedì al lunedì, dall'apertura alle 10.00 alla chiusura alle 22.00.

(ecco un vantaggio dell'essere disoccupati !)

   Ho seguito decine di incontri, conferenze, dibattiti, presentazioni, lectiones magistrales, potendo finalmente vedere in volto, sentire la viva voce, apprezzare la personalità dei grandi nomi della letteratura, dell'arte, della scienza, dello spettacolo, che come tutti conoscevo solo indirettamente. Vederli dal vivo è un'altra cosa, non sono più solo nomi su un libro o facce dentro lo schermo televisivo: ricevi veramente qualcosa di più.

   Molte volte, per un'abitudine mia che mi è rimasta dai tempi dell'università, ho preso appunti: desideravo infatti conservare non solo il ricordo dell'evento, ma la sua sostanza, fissarne i contenuti sulla pagina per arricchire la mia biblioteca cartacea. Non mi è mai interessato avere autografi o foto, e questo già ben prima dell'invenzione dei selfie.

   I giorni del Salone del Libro li aspettavo tutto l'anno, risparmiavo soldi per dodici mesi, ogni volta che prendo in mano un testo so esattamente se l'ho comprato al Salone oppure no.



Ma questi sono ricordi personali.

Passiamo invece ad un altro piano.

La formula sempre uguale a se stessa può, mi rendo conto, stufare. Certo si ha paura di cambiare, perché se una cosa funziona bene da trent'anni sembra stupido voler stravolgere tutto.
 Ma così facendo ci si comporta esattamente come certe vecchie signore che dicono "Io faccio così perché mia madre ha sempre fatto così". Non si ha il coraggio di esplorare nuove strade, di sondare nuove possibilità.

 La chiave del successo, in ogni campo, è l'evoluzione. Al contrario la stagnazione, l'autocompiacimento, la volontà di arroccarsi sulle proprie posizioni, la tendenza a sedersi sugli allori non hanno mai portato nulla di buono.

Un cambiamento era necessario, urgente, non più procrastinabile.

Certo sarebbe stato meglio non dover assistere alla triste e squallida vicenda giudiziaria. Un altro scandalo nel mondo della cultura, non dissimile da quello che ha coinvolto Giuliano Soria, padre-padrone del famoso Premio Letterario "Grinzane Cavour".

Anche nella cultura, a questi livelli perlomeno, girano tanti soldi, e dove ci sono tanti soldi fioriscono le occasioni che fanno gli uomini (e le donne) ladri. Ma spesso non è solo una questione di ingrassare il proprio conto in banca, bensì di potere, di ambizione, di autorità, di superbia: sentirsi Dio, poter con una parola dare e togliere, "affannare e consolare" (per citare Il Cinque Maggio), innalzare e affossare.



   Dopo l'edizione del trentennale Torino perderà forse per sempre una manifestazione che era diventata una delle caratteristiche principali del suo territorio.

 Non bisogna farne una questione campanilistica. Ogni città può avere eventi simili a quelli di un'altra, pur mantenendo la propria specificità.
 Vi porto un esempio, di un settore in parte analogo : quello dei FUMETTI.
 Nel mondo degli appassionati di fumetti, cartoni animati, film e telefilm - appassionati adulti e maggiorenni, che seguono in egual misura i comics dei supereroi americani e i manga e gli anime giapponesi, Star Wars e Star Trek, Il Signore degli Anelli e Game Of Thrones - esistono numerose fiere del settore, dove vengono presentate le ultime novità e le anticipazioni, ci sono incontri con autori e disegnatori, dibattiti, eventi di vario tipo.
 La principale è quella che si tiene a Lucca, ovvero il LUCCA COMICS. Ma ce ne sono anche a Milano (FUMETTOPOLI), a Roma (ROMICS) e a Napoli (NAPOLI COMICON). Ce n'è una anche a Torino (TORINO COMICS), ma dopo i primi anni di gloria, a causa di una gestione sbagliata, è stata sempre più snobbata, fino a ridursi a una cosuccia povera e triste. Negli ultimi anni poi stanno acquisendo sempre maggiore importanza fiere organizzate in località più piccole.
 All'occhio di un non-appassionato queste fiere sembrano tutte uguali, quale che sia la città. Ma, al contrario, ciascuna di esse ha una sua anima, un suo aspetto riconoscibile e caratteristico.


   Per il libro dovrebbe poter avvenire la stessa cosa. Non più un solo Salone del Libro, ovunque esso sia, ma tanti, distribuiti su tutta l'Italia e per tutto l'arco dell'anno.
 Alcuni appuntamenti ben conosciuti e apprezzati ci sono già, come la Fiera del Libro per Ragazzi di Bologna o il Festival Letteratura di Mantova.
 Si tratta solo di allargare l'offerta.

   I numeri di visitatori possono essere molto interessanti. Anche se negli ultimi anni del Salone di Torino le cifre sono state gonfiate, si tratta comunque di un flusso di tutto rispetto. E lo stesso avviene negli altri due casi citati di Bologna e Mantova.

   Chi va ad una manifestazione letteraria - tolte le classi scolastiche di varie età che sono più o meno costrette dai loro insegnanti - lo fa perché ama davvero leggere, approfondire, farsi una cultura.
 Solo di rado, in eventi di questo tipo, trovi un visitatore sperso e confuso, che non sa cosa vuole (come spesso accade nelle librerie, i cui commessi si sentono rivolgere richieste che denotano una totale, abissale, irrimediabile e ahinoi spesso compiaciuta ignoranza).



   A livello personale mi dispiace immensamente per la fine del Salone del Libro di Torino, che è stato una parte fondamentale e strutturale della mia vita. Tra l'altro per i dieci anni in cui ho vissuto da solo (2004-2014) ho abitato proprio davanti al Lingotto, quindi mi bastava uscire di casa e dopo pochi passi ero arrivato.
 La mia vita cambierà, in peggio.

Ma io non conto niente, in questo caso. Conta la diffusione della cultura, la battaglia per non cedere all'ignoranza, al fanatismo, all'intolleranza (che sono nostre, occidentali, europee, ben prima che mediorientali o islamiche). Conta la necessità di crescere nuove generazioni consapevoli, preparate, curiose di scoprire, di imparare, di allargare sempre più i propri orizzonti e interessi.

W I LIBRI !

lunedì 25 luglio 2016

Violenza sulle donne e storia del mondo femminile - Parte Terza

Riprendiamo il nostro discorso.

Eravamo arrivati all'affermazione delle società patriarcali. Il modello storico-antropologico ancora oggi prevalente, sebbene messo parecchie volte in discussione, ne ha individuato l'origine nelle steppe della Russia, dove viveva un gruppo di popoli che, per pura e semplice convenzione, vengono chiamati INDOEUROPEI

(un altro nome con cui sono noti è quello di ARIANI, ovvero i figli di Ario, mitico personaggio che compare nelle tradizioni epiche dell'India. Il termine di "ariani" è oggi conosciuto per via delle teorie di Hitler: in effetti il simbolo del nazismo, la croce uncinata, non è altro che uno dei tanti simboli sacri dell'arte indiana).

Circa 3.000 anni prima di Cristo questo gruppo di popoli migrò dalle sue regioni di origine, dirigendosi in parte verso est, dove diede origine alle grandi civiltà dell'India, e in parte verso ovest, ovvero in tutta l'Europa e nel Medio Oriente.

La principale prova di questi avvenimenti sta nella LINGUA. Le cosiddette LINGUE INDOEUROPEE sono tutte quelle che, pur nella diversità della loro evoluzione successiva, conservano alcune parole comuni, generalmente quelle relative alla famiglia (l'esempio classico che si fa è quello del latino pater e dell'inglese father, ma ce ne sono molti altri).

Questi popoli portarono con sé la loro organizzazione sociale, basata sulla preminenza dell'uomo sulla donna.
 Come spesso avviene, anche la concezione religiosa e l'idea del divino riflettevano l'esperienza terrena. Ecco quindi la comparsa delle grandi divinità maschili, da Zeus/Giove a Odino, che governano sulle proprie famiglie divine nello stesso modo in cui l'uomo governa sulla propria famiglia terrena.

Nella zona del Medio Oriente si assiste poi ad un'ulteriore specializzazione. Accanto a grandi pantheon come quello degli Assiri e dei Babilonesi si ha lo sviluppo di divinità "nazionali", specifiche di un certo popolo o etnia: divinità che sono, ovviamente, maschili, e anche quasi sempre sole, nel senso che ad esse non vengono associate altre figure divine.

(da questo si può capire come gli Ebrei, i quali ancora oggi sostengono di essere stati i primi a venerare il Dio unico, in realtà fossero in buona compagnia. Yavhé, il Dio degli Ebrei, era solo uno tra tanti).


Con l'affermazione delle nuove società, le donne vengono relegate in un ruolo sempre più subalterno. Non mancano esempi in cui conservano una certa libertà, come tra gli Egizi o tra gli Etruschi, ma più spesso perdono qualsiasi autonomia.

Il caso più eclatante è quello dei Greci.

Sì, proprio i Greci, la civiltà da sempre considerata la più bella, la più perfetta, la più magnifica, l'esempio più alto mai creato dagli uomini.
 Ebbene, i Greci tenevano le donne segregate in casa, addirittura in una parte separata dell'abitazione (il gineceo). Potevano uscire solo se accompagnate da altre, mai da sole. Passavano dalla tutela del padre a quella del marito e in generale dei parenti maschi, figli compresi. Portavano il velo. Non avevano alcuna istruzione, né possibilità di farsela.

Insomma, i tanto osannati Greci erano tali e quali i Talebani e i jihadisti dell'ISIS oggi.



Nell'antica Roma la situazione migliora un po', specie durante i grandi secoli dell'Impero.

Ma con l'inizio del Medioevo, e la vittoria del Cristianesimo, alla donna viene affibbiata anche la colpa di aver corrotto l'uomo, offrendogli la mela dell'albero proibito. Inoltre viene stabilita come verità di fede la storia della Genesi

(storia che, a ben guardare, è solo una delle infinite versioni sulla creazione del mondo e dell'umanità, che si ritrova più o meno sempre uguale in tutti i popoli, anche extraeuropei)

secondo cui la donna è stata creata da una costola dell'uomo.

In quanto derivata dall'uomo, appare quindi naturale che sia a lui sottomessa, in tutto e per tutto.



Nel corso dei secoli le donne hanno saputo affrancarsi da questa situazione di vera e propria schiavitù affinando le armi della seduzione, del sotterfugio, della dissimulazione, dell'inganno.

Non perché siano intrinsecamente malvagie, come la cultura dominante ha voluto e vuole ancora farci credere, ma perché era l'unico modo che avevano per conservare la propria dignità: hanno usato, e usano tuttora, il proprio corpo per affermare il diritto all'esistenza che in tutti gli altri campi è loro negato.


Prima di arrivare alla società di oggi abbiamo avuto le battaglie per il diritto di voto e per l'aborto, oltre che tutta la cultura di stampo femminista.
 La vera parità dei sessi è, purtroppo, ancora lontana. Le famose "quote rosa" già nel nome non sono altro che una concessione fatta di malavoglia. Una donna che voglia lavorare e non fare figli viene vista con sospetto, come se in lei ci fosse qualcosa di sbagliato; mentre se vuole lavorare e allo stesso tempo fare figli le viene tolto il lavoro, perché si pensa che non possa fare bene entrambe le cose ma soprattutto perché la si vuole costringere ad essere prima di tutto ed esclusivamente una madre, unico lavoro, unica vita, unica realizzazione personale che le si può concedere).


E sono ancora troppi, lo sappiamo, gli uomini che considerano le donne una loro proprietà personale, come la macchina o la moto. L'idea che questi oggetti possano pensare, avere una vita propria, voler persino staccarsi da loro è semplicemente inconcepibile.

Infatti non tutti gli uomini che picchiano le donne sono, in origine, dei mostri. E' che proprio non ci arrivano. Una donna indipendente, libera, autonoma è un concetto del tutto al di fuori del loro orizzonte di pensiero

(è come se a un pesce nato e cresciuto dentro la classica boccia di vetro venisse detto che esiste l'oceano: non potrebbe mai figurarselo, immaginarselo, concepirlo).


In questi casi l'uomo reagisce con la violenza perché, di nuovo, è l'unico linguaggio che conosce. E' come quando un cowboy doveva domare un cavallo selvaggio, insegnargli a sopportare la sella, il morso e il peso sulla schiena: si tratta di far capire chi è il padrone, chi è che comanda.


Se le botte non bastano, si arriva all'omicidio (o "femminicidio", per usare la bruttissima parola in voga oggi: brutta perché il termine stesso "femmina" ha assunto con il tempo una connotazione negativa, derisoria, che sottolinea l'inferiorità. Quante volte abbiamo sentito dei bambini maschi che giocano tra di loro dire "Eh, ma quelle sono femmine !". E che dire di "femminuccia", epiteto affibbiato a quel maschio che si dimostra poco virile ?).

Le donne, oggi, vengono uccise dagli uomini per affermare in modo definitivo i propri diritti sull'oggetto, il possesso esclusivo dell'oggetto stesso.


Se a questo si aggiunge la violenza divenuta ormai interna alla nostra società, di cui abbiamo parlato nella prima puntata, si capisce come non bastino proclami, iniziative, dibattiti per cambiare le cose.

Bisogna ripartire da zero, su nuove basi, costruire una società nuova, completamente diversa.

Donne e uomini, insieme, fianco a fianco.

Perché è ora di cambiare l'abusata frase "DIETRO a ogni grande uomo c'è sempre una grande donna".

Facciamola diventare "ACCANTO a ogni grande uomo c'è sempre una grande donna".

lunedì 11 luglio 2016

Violenza sulle donne e storia del mondo femminile - parte seconda

Dobbiamo a questo punto fare un salto indietro nel tempo, di migliaia e migliaia di anni.

Siamo nella Preistoria. Gli esseri umani si sono diffusi per tutto il pianeta, ma le grandi civiltà sono ancora di là da venire. Le società sono molto semplici: tribù e clan, spesso composti da poche decine di persone.

I possenti animali che ancora percorrono la Terra sono molto pericolosi per l'uomo, che al momento dispone di un arsenale decisamente limitato. Per cacciarli è necessaria la collaborazione di tutto il gruppo, che come abbiamo detto è spesso assai ristretto.

Quindi anche le donne partecipano alla caccia, per il semplice motivo che, se gli uomini andassero da soli, non ce la farebbero mai: sarebbero troppo pochi numericamente.

 Lo stereotipo della donna che rimane nella caverna ad accudire i figli e a lavorare le pelli è quindi sbagliato, anche perché è sbagliata l'idea stessa di "cavernicoli" : le caverne costituivano un rifugio solo temporaneo, o erano usate per riti sciamanici (ecco il perché delle famose pitture, come quelle di Lascaux e di Altamira); possono essere state abitate per qualche tempo, magari stagionalmente, ma non ci sono tracce di una presenza protratta nel tempo, per anni o generazioni.

Nello stesso periodo si diffondono anche le prime forme d'arte. Oltre le citate pitture delle caverne esistono delle piccole sculture in pietra, osso o avorio, che rappresentano figure femminili dalle forme abbondanti e generose, in particolare i seni :

sono le cosiddette "Veneri del Paleolitico".



Sebbene non ci sia un totale accordo tra gli studiosi, generalmente si ritiene che queste figure - la cui produzione continuò anche per tutto il Neolitico - rappresentino un omaggio alla femminilità, vista come fonte di vita e di rinnovamento della Natura.

La rappresentazione non è casuale: una donna con i fianchi larghi e i seni abbondanti può generare e nutrire dei figli robusti, che hanno più possibilità di sopravvivere. Ad un uomo del Paleolitico o del Neolitico le nostre top-model magrissime e secche farebbero proprio schifo.

Non sapremo mai se queste piccole sculture fossero oggetto di un culto organizzato. Sappiamo però che il culto della Dea Madre, identificata spesso con la Terra stessa, è non solo molto antico, ma si ritrova - in forme decisamente simili - in tutte le culture e in tutte le epoche. Ed è sopravvissuto, anche se un po' in sordina, anche quando sono nati i grandi pantheon divini, da quello dell'antico Egitto con gli Dei dalla testa di animale, all'Olimpo greco, agli Dei del Nord capeggiati da Odino e Thor, senza dimenticare l'articolata famiglia delle Divinità dell'Induismo.

Nello stesso Cristianesimo il culto speciale tributato alla Madonna non è altro che la versione aggiornata di questo sentimento.



Dopo lo sviluppo dell'agricoltura i gruppi umani cominciarono a unirsi e a organizzarsi in forme più complesse, anche a livello gerarchico. Nacquero le classi sociali, e nacque anche un'altra cosa.

LA GUERRA.

Non che prima non ci fossero occasionali scontri tra un gruppo e l'altro. Ma allora gli esseri umani erano nomadi, potevano litigare per una preda o un territorio di caccia, ma nulla più.

Con l'agricoltura invece i gruppi diventano stanziali, e acquisiscono un territorio fisso che deve essere difeso dagli altri gruppi, sia quelli ancora nomadi - che sopravvivono con le razzie - sia quelli che ambiscono ad ampliare il proprio territorio a danno dei vicini.

E' solo a questo punto che si ha la definitiva separazione tra i due sessi : la donna in casa (o nei campi, dove comunque c'e sempre bisogno dell'aiuto di tutti, maschi e femmine) e l'uomo fuori.

Con la pratica costante della guerra il maschio acquisisce anche una corporatura più robusta e una muscolatura più massiccia. 
Fino a questo momento i due sessi erano stati, da questo punto di vista, molto simili, proprio perché era necessario per entrambi essere forti fisicamente, altrimenti non sarebbero sopravvissuti alle prove imposte da una Natura che era ancora in grado di soverchiare l'essere umano. E questo nonostante le normali differenze tra maschi e femmine che ci sono da sempre, negli esseri umani come in tutti gli altri animali (ricordiamoci che l' Homo Sapiens non è qualcosa di diverso rispetto agli animali, ma è un animale esso pure) : in una stessa specie la femmina è, quasi sempre (ma ci sono eccezioni), più minuta rispetto al maschio (si parla di DIMORFISMO SESSUALE).

L'epoca è ormai matura per l'affermazione delle SOCIETA' PATRIARCALI. 

Il loro arrivo porta anche un altro, grosso guaio : LA RELIGIONE.


Ma ne parliamo la prossima puntata !




venerdì 8 luglio 2016

Violenza sulle donne e storia del mondo femminile - parte prima

In questi giorni di attentati vari, Brexit, Europei e vacanze è scivolato come al solito in secondo piano il tema della violenza sulle donne.

Gli omicidi, invece, non si fermano mai.

Ma vi siete mai chiesti "Perché tanta violenza ?" ?

Qui parlerò dell'unica società che conosco, ovvero quella occidentale.

E' sotto gli occhi di tutti che la violenza, qualsiasi violenza, sia ormai ovunque.
Dal "femminicidio" (parola che per prima commette violenza, alla lingua italiana, ma rende bene l'idea) alla pedofilia, dagli stupri alle ormai consuete stragi nelle scuole d'America, sembra che in ogni momento, da qualche parte, venga commessa una violenza.

In realtà la percentuale non è superiore al passato: a livello numerico siamo sempre lì.
 Ad essere cambiate sono invece la facilità di comunicazione, l'accesso all'informazione, la circolazione delle notizie e il numero di persone che queste notizie sono in grado di leggere e comprendere.

Prendiamo il caso dei preti pedofili. Ci sono sempre stati, non è una cosa nata alla fine del XX secolo/inizio del XXI : solo che una volta non si sapeva, le notizie non circolavano, e ovviamente qualsiasi persona, compresi i rappresentanti del potere laico e civile, si inchinava di fronte alle tonache, anche dei gradi più bassi, perché "se l'ha fatto/detto il prete è giusto, obbedisci al prete, chiedi consiglio al prete". Oggi, si sa, le gerarchie ecclesiastiche cercano ancora di insabbiare i casi scomodi, ma ci riescono sempre meno, per fortuna.

Va poi ricordato che la propensione alla violenza che la società aveva da sempre dentro di sé veniva rivolta verso l'esterno, verso i nemici, verso gli Stati confinanti, verso tutto ciò che era diverso, lontano, altro rispetto a "noi". Le guerre che un giorno sì e uno no sconvolgevano l'Europa servivano da perfetta valvola di sfogo per queste pulsioni, che potevano scaricarsi liberamente, senza far danno a "noi". E poi, se stupri una donna del nemico non è un crimine, ma il legittimo premio del vincitore sullo sconfitto.

Questa era la visione imperante.

Poi le guerre, in Europa, sono finite. Dal 1945 in poi il Vecchio Continente ha vissuto una lunga era di pace interna, mai conosciuta prima in tutta la sua lunga storia.

Ma la violenza continuava ad esserci, eccome. Solo che, non potendosi più scaricare all'esterno, ha cominciato piano piano ad erodere l'interno della società, fino ad arrivare alla situazione di oggi.

Non voglio parlare qui dell'America, con la sua cultura delle armi benedetta dal Secondo Emendamento, perché è un discorso che ci porterebbe lontano: lo faremo, forse, un'altra volta.



In tutto questo le DONNE sembrano le vittime predestinate.

E non si tratta di episodi isolati, di momenti di rabbia dovuti all'esasperazione, all'alcool e simili.

Si tratta, al contrario, di una precisa e sistematica volontà di sottomissione.

E' un comportamento che viene messo in atto al fine di perpetuare l'ormai plurimillenaria società patriarcale, basata sul dominio assoluto del maschio.

Ma, come sempre, la volontà di dominio nasconde una fragilità interna, che si cerca di occultare ma è sempre presente.

Perché, in realtà, GLI UOMINI HANNO PAURA DELLE DONNE.

Come ? Perché ? Come è possibile ?

Seguitemi, e lo scoprirete !


lunedì 4 luglio 2016

Il sonno della ragione genera mostri

La famosa frase, titolo dell'altrettanto famosa acquaforte di Francisco Goya, descrive bene i tempi che stiamo vivendo.

Quindi bisogna mettere i puntini sulle "i", almeno alcuni.

1) L'estremismo ce l'abbiamo anche e soprattutto in casa nostra, ove per "casa nostra" intendo l'intera Europa. NOI abbiamo inventato le guerre di religione, non i musulmani, ai quali anzi abbiamo insegnato il concetto, lo abbiamo esportato (altro che << esportare la democrazia >>...spero che non ci sia più nessuno che ci crede ancora). Noi, figli dell'Europa e in particolare della sua parte occidentale, abbiamo sottomesso il resto del mondo, dalle Americhe alla Cina, dall'Oceania alle terre degli Eschimesi, perché ci credevamo e ci crediamo ancora superiori, migliori, eletti da Dio.

E' una questione di mentalità, di intimo convincimento, di fede potremmo dire. Non c'entrano niente i politici in questo momento sulla breccia, da Salvini alla Le Pen. Loro non sono diversi da noi: LORO SONO NOI, NOI SIAMO LORO. Noi li abbiamo eletti, noi li abbiamo mandati al potere: noi, con il nostro voto, o peggio ancora con il nostro non-voto.


2) Si paventa il ritorno dei muri, delle frontiere, dei confini. Peccato che non siano mai serviti a niente. Nessun confine, in tutta la Storia umana, è mai risultato inviolabile e inviolato, nessuna barriera è mai durata per l'eternità. I confini fisici sono destinati a cadere alla prima spallata, alla prima folata di vento.

Più difficile è abbattere i confini mentali, quella comoda divisione tra "noi" e "loro", tra "civiltà" e "barbarie", tra "esseri dotati di ragione" e "mostri irrazionali". Questa semplificazione della realtà ce la portiamo dietro dai tempi antichi, dai secoli della Grecia classica e di Roma imperiale.

Ciò che non si conosce fa paura, se fa paura lo si combatte, se è diverso da noi è legittimo distruggerlo, ucciderlo, cancellarlo.
 Questa è la mentalità diffusa. Non è colpa di nessuno, di nessun politico, demagogo, arruffapopolo: costui (o costei) non inculca nella gente un'idea nuova, bensì si limita, con belle parole e frasi ad effetto, a estrarre ciò che la gente già pensa.


3) Qualora una nazione riuscisse effettivamente, almeno per un certo tempo, a chiudersi del tutto in se stessa, bloccando ogni contatto con l'esterno, in realtà firmerebbe la propria condanna a morte.
 Il mondo globalizzato non è un'invenzione di oggi. IL MONDO E' SEMPRE STATO GLOBALIZZATO. Gli Stati, le Nazioni, i popoli si sono sempre scambiati idee, conoscenze, visioni, invenzioni, e proprio per questo sono progrediti.
 La decadenza, in tutti i casi, è arrivata proprio quando hanno esaurito la spinta verso l'esterno e hanno cominciato a rimirarsi l'ombelico, convinti di aver raggiunto la perfezione assoluta ed eterna.


4) Le migrazioni di popoli sono sempre avvenute, sono una costante della Storia umana. Oggi abbiamo la memoria corta, per cui forse ci siamo già dimenticati di quando proprio noi italiani affollavamo le navi per l'America, col sogno di una nuova vita al di là del mare: e ci siamo dimenticati di quanto ci guardavano male, perché eravamo poveri, brutti, sporchi, potenzialmente violenti o comunque portatori di problemi.
 Nessun essere umano lascia volentieri la terra dove è nato e cresciuto, dove ha la sua famiglia, i suoi amici, il suo lavoro. Se lo fa è perché è costretto: dalla fame, dalla povertà, dall'oppressione (che può essere interna o straniera). Anche questa è una costante della Storia.

Pensare di fermare la corrente della Storia con leggi, proclami, espulsioni, muri e fili spinati è come voler svuotare il mare con un cucchiaino da caffè.


5) I demagoghi ci incitano a lottare "per la difesa della nostra civiltà". E noi non ci rendiamo conto che la nostra civiltà è già morta. Morta di vecchiaia, morta di morte naturale, come è sempre successo e sempre succederà. Ha avuto la sua infanzia, la sua giovinezza, il suo momento di gloria, la sua maturità. Ora, anche lei, deve fare largo ai giovani.
L'Occidente ha fatto il suo tempo. Ora è il turno dell'Oriente, di nuovo, come è stato in passato.
 Non è e non sarà una cosa breve. I periodi di decadenza sono sempre lunghi, mai improvvisi. Spesso chi li vive non se ne rende nemmeno conto, proprio perché i tempi della Storia sono molto più lunghi di una normale vita umana.

Saperlo però ci aiuta a prepararci, ad allenare - se non noi stessi - i nostri figli a vivere nei tempi nuovi. Ci aiuta ad abbandonare i vecchi modi di pensare, ad aprirci al nuovo che sta arrivando.

E dobbiamo renderci conto che il cambiamento, l'integrazione, la mescolanza non avviene mai per imposizione dall'alto, ma per contatto quotidiano, dal basso, giorno dopo giorno. Avviene prima di tutto tra i bambini, ai quali non importa se i compagni di giochi hanno la pelle scura, gli occhi a mandorla e pregano Dio chiamandolo con un nome diverso.



Svegliamoci, dunque, e viviamo il nuovo giorno che sta nascendo.
E facciamo attenzione ai mostri : perché essi sono svegli quando noi dormiamo, ma se noi siamo svegli essi non possono fare del male.

domenica 3 luglio 2016

Economia e finanza, ovvero : ma siamo impazziti ??? Sì !

I romanzi, si sa, spesso raccontano la realtà molto meglio di aridi reportage sui giornali.

Un bravo narratore, e questa qualifica non è cosa da tutti, sa mettere in scena, attraverso vicende fittizie e personaggi immaginari, i mutamenti della società, l'evoluzione del pensiero, della morale, della mentalità delle persone: in una parola, la Storia.

In questi giorni sto leggendo il seguente libro: New York, di Edward Rutherford, Mondadori 2010

L'autore è noto per i suoi numerosi romanzi storici, dedicati ciascuno ad una città o ad un territorio (La foresta, London, Paris, Russka, Sarum) scritti sempre secondo la stessa formula: si parte dal primo insediamento in un dato luogo, magari dalla preistoria, e attraverso le vicende di alcune famiglie che si intrecciano tra loro (generalmente una famiglia ricca fin dagli albori e una famiglia povera sempre fin dagli albori), e usando come filo conduttore un particolare oggetto che passa di mano in mano attraverso le generazioni, si racconta la nascita, la crescita, lo sviluppo e l'esplosione di quel territorio o di quella città fino ai giorni nostri.

Nel caso di New York non poteva, ovviamente, mancare un capitolo in cui, grazie agli occhi dei personaggi, vediamo la nascita della Borsa, delle grandi banche oggi famose, dell'alta finanza.

Di seguito cito alcuni brani che narrano del rapporto tra un facoltoso mercante, rappresentante del vecchio modo di fare soldi, e i finanzieri della neonata Wall Street. Siamo intorno al 1880.



"Per come la vedo io, un uomo di Wall Street è uno scommettitore. Ne ho visti alcuni scommettere per un intero pomeriggio su quale goccia di pioggia sulla finestra sarebbe arrivata per prima in fondo. Un uomo di Wall Street è anche avido. Non c'è niente di male in questo. Senza avidità, dico sempre, non ci sarebbe civiltà. L'uomo di Wall Street però non ha la pazienza di lavorare la terra o di fabbricare le cose. E' intelligente, ma non è profondo. Investe in società, ma non si preoccupa molto di quello che sono, o di quello che fanno. Ciò che vuole è scommettere su di esse. Wall Street sarà sempre piena di giovani, che scommettono."
"Giovani ?" disse Frank "E degli anziani che ne facciamo, Gabriel ?"
"Bé, quando un giovane invecchia, tira su una famiglia, si assume delle responsabilità. E dopo cambia: è nella natura umana. Lo si vede di continuo. L'uomo con delle responsabilità non scommette nella stessa maniera. Il suo modo di operare è differente."
"In che senso ?"
Gabriel Love li guardò entrambi, e di colpo i suoi occhi azzurri si indurirono.
"Trucca le carte" disse bruscamente.

A Gabriel Love piaceva vendere allo scoperto. Se aveva la sensazione che il mercato stesse calando o, meglio ancora, se aveva delle informazioni riservate su un titolo che stava per avere dei problemi, allora si offriva di vendervi una quota di azioni, in una data futura, a un prezzo di molto inferiore a quello corrente. Scioccamente voi avreste pensato di aver concluso un affare. E, il giorno prefissato, il prezzo di quelle azioni sarebbe sceso molto più di quanto avreste immaginato, lui stesso le avrebbe acquistate a un buon prezzo e voi vi sareste trovati obbligati a levargliele dalle mani a un prezzo più alto di quello concordato, lasciando lui con un bel profitto e voi con una perdita cospicua. E per fare tutto ciò gli bastava scommettere o, più precisamente, truccare le carte, dal momento che lui sapeva qualcosa di quelle azioni che a voi non era dato conoscere.

Fattorini, venditori ambulanti, carrozze che trasportavano uomini d'affari come lui stesso. Era la vecchia New York, giusto ?
No, non proprio. Non più.
Passò davanti ad un edificio severo e massiccio. Numero 23. House of MORGAN. Mentre lo superava, Frank non poté fare a meno di chinare il capo. Sì, lui, uno dei Master, amico dei Roosvelt e dei Vanderbilt, non riusciva a trattenere un fremito di soggezione mentre superava gli uffici di Morgan. Quello era il problema. Quella era la ragione per cui non apparteneva più a quel luogo.
Ma suo figlio Tom sì.

Era stata la Guerra Civile a cambiare davvero Wall Street. La Guerra Civile e il West americano. Flussi massicci di capitale erano necessari per finanziare l'una e sviluppare l'altro. E dove si poteva trovare il capitale ? Solo in un posto, nel centro economico del mondo intero: Londra.
Era Londra che aveva finanziato l'America. Così come, un secolo prima, la ricchezza dell'America si era costruita sul grande triangolo Londra, New York e commercio dello zucchero - e più tardi sul commercio del cotone degli Stati del Sud - ora un motore nuovo e meno visibile, ma ugualmente potente, stava spingendo la corsa: il flusso di credito e di azioni tra Londra e New York.
Era qui che era cresciuta la House of MORGAN. Junius Morgan era un rispettabile gentiluomo del Connecticut che aveva riattraversato l'oceano e si era affermato come banchiere a Londra. Predisponeva prestiti da Londra all'America, e quei prestiti crescevano enormemente.
 Ma adesso al timone si trovava suo figlio. J.P. MORGAN stava diventando una leggenda del suo tempo. Erano J.P. Morgan e altri uomini come lui ora i re di Wall Street e, a causa loro, persino un agiato mercante come Frank Master non si sentiva più a proprio agio lì. Perché le operazioni dei banchieri e le alleanze industriali stavano diventando così grandi, le somme di denaro così imponenti, che i personaggi come Master non contavano più molto. I banchieri non compravano né vendevano merci: compravano e vendevano affari. Non finanziavano viaggi: finanziavano guerre, industrie, persino piccole Nazioni.



Ecco com'è nata l'alta finanza.
Ecco come si è perso il contatto con la realtà.
Io trovo aberrante comprare e vendere "cose volanti" al posto di merci concrete, di oggetti, di prodotti.
Trovo spaventoso che questa gente compri e venda industrie senza curarsi di cosa producono, e ovviamente senza tenere nella minima considerazione le persone che ci lavorano dentro. Anzi, le persone sono per loro un peso, un fastidio, qualcosa di cui liberarsi.
Trovo orribile che i finanzieri vivano nel loro Olimpo fatto di azioni, di titoli, di cambi, e che giochino (barando, oltretutto, come abbiamo visto) con la vita di milioni di persone solo per soddisfare la loro avidità (anche questo lo abbiamo visto).

Certo, ci sono altre categorie di persone che vivono in un loro Olimpo: i politici, gli attori, i calciatori. Ma loro, almeno, ogni tanto scendono in mezzo a noi,
I finanzieri no.

Possibile che non ci sia un limite, a questa loro avidità ?
Possibile che, dopo aver guadagnato così tanti soldi da sistemare i propri discendenti per i prossimi due o tre secoli, vogliano guadagnarne ancora, continuare a giocare, a scommettere ?

Questa mi sembra la stessa patologia che affligge il poveretto che si gioca i risparmi ai videopoker, o chi frequenta i casinò e i posti come Las Vegas.


Si è detto che l'attuale crisi ha avuto origine nell'alta finanza e ha poi infettato "l' economia reale".
Ecco, appunto.
Se le parole hanno un significato, definire la nostra economia quotidiana "economia reale" vuol dire che l'altra, quella dell'alta finanza, è un' "economia irreale", finta, immaginaria, fantastica.
Finta, immaginaria, fantastica, come i draghi e gli unicorni delle saghe fantasy, come Harry Potter e il gioco del Quidditch e la Scuola di Magia di Hogwarts.
Un tempo si credeva all'esistenza dei draghi, degli unicorni, delle streghe, e questa credenza condizionava la vita delle persone. Poi si è capito che erano solo storie, favole da raccontare ai bambini, e il mondo è andato avanti, c'è stata un'evoluzione, un progresso del pensiero umano.


Forse è venuto il momento di fare un altro passo in avanti. Di liberarci della finanza, dell' "economia irreale", e tornare a vendere e comprare prodotti, oggetti, merci.
Non significa tornare al baratto. I soldi ci sono, servono, non potremmo né potremo mai eliminarli. Ma che siano soldi "fisici", banconote e monete che passano di mano in mano, tra persone che si guardano negli occhi, che siano custodite in banche che facciano solo questo, custodire i risparmi dei propri clienti, senza azioni, senza titoli, senza operazioni strane.

Le aziende devono tornare ad avere successo, o fallire, non in base ai titoli in Borsa, comprati e venduti da chissà chi, ma all'impegno e alla capacità imprenditoriale dei loro proprietari, all'efficienza dei loro lavoratori (efficienza che si ottiene solo se i lavoratori stessi sono tranquilli sul loro futuro, se sanno di poter ricevere regolarmente lo stipendio, di poter fare progetti di famiglia, di non doversi preoccupare per i loro figli), all'innovazione continua.

Almeno, io penso che si debba fare così.

giovedì 30 giugno 2016

E-BOOK O LIBRI DI CARTA ?

Quando iniziarono a diffondersi gli e-book, molti profetizzarono l'imminente fine del libro di carta.

Lo consideravano un oggetto superato, obsoleto, una "tecnologia" dei tempi andati.

L'avvento degli e-reader, e in particolare del Kindle di Amazon, sembrava un tocco di campane a morto.

I partigiani della carta risposero, e rispondono tuttora, con argomentazioni quali "l'odore della carta", "il fruscio delle pagine" e simili.

Di certo l'invenzione degli e-book è un passaggio epocale, pari per importanza all'invenzione della stampa, che sostituì i manoscritti copiati a mano dai monaci medioevali. Prima ancora si ebbe il passaggio dal papiro alla pergamena.
Passando dal papiro alla pergamena prima, e dai manoscritti alla stampa poi, alcuni testi non sono stati giudicati sufficientemente importanti per essere conservati anche sul nuovo supporto. Ecco perché oggi vi sono gravissime lacune, che mai potranno essere sanate, nella conoscenza della letteratura dei secoli passati, in particolare dell'antica Grecia e dell'antica Roma.


 Ma non è questo il caso, per ora, del passaggio dalla stampa agli e-book.


Io, chi mi conosce lo sa, sono quello che le statistiche editoriali definiscono un lettore forte, anzi, fortissimo: è motivo di orgoglio per me poter dire che leggo almeno un libro alla settimana.

E dico sempre la seguente frase: << Sono nato con la carta e voglio morire con la carta >>.

Ad essa, però, AFFIANCO l'e-book.


Il "libro virtuale" ha infatti molteplici vantaggi :

1 - COSTA MENO. E questo, in un'epoca in cui siamo di nuovo costretti a misurare il prezzo del pane, è molto importante.

2 - NON PESA NIENTE. Se dobbiamo affrontare lunghi viaggi possiamo portarci dietro un'intera biblioteca, e ce l'avremo sempre a disposizione.

3 - NON OCCUPA SPAZIO. Dato che difficilmente abitiamo in ville con decine di stanze, la nostra biblioteca può essere contenuta tutta nei dispositivi di cui sopra.

4 - SE NON CI PIACE LO POSSIAMO CESTINARE senza dispiacerci per i soldi spesi, perché come detto il prezzo è molto inferiore - quasi sempre - a quello della versione cartacea.


Di libri di carta, lo vediamo, se ne pubblicano ancora. Tanti. Tantissimi. Troppi. La quasi totalità di essi non vale la carta su cui sono stampati. Sono stati abbattuti degli alberi inutilmente, contribuendo alla deforestazione  e quindi alla distruzione dell'ambiente.

Ma non esistono libri "buoni" o libri "cattivi". Esistono invece, nel pur sparuto pubblico dei lettori, preferenze diverse, le più disparate, le più strane che possiate immaginare. E tra i diritti di un lettore c'è anche quello di avere il libro che desidera, anche se lo vuole solo lui, anche se dovesse essere diffuso in una sola copia in tutto il mondo.

Da questo punto di vista gli e-book potrebbero essere di grande aiuto, se solo ci fosse la volontà degli editori (e la convenienza economica) per farlo :

prendiamo ad esempio gli Harmony, o i libri di cucina, o quelli dei comici televisivi, o quelli legati alle mode del momento (i Vampiri, i Templari, il Sesso Sadomaso). Testi la cui notorietà dura appena una stagione, che non diventeranno mai dei classici né ambiscono ad esserlo. Ma che hanno un loro affezionato pubblico di lettori.

Perché allora non pubblicarli ESCLUSIVAMENTE IN FORMATO E-BOOK, riservando la carta a testi di altro tipo ?

La stessa cosa si può fare, almeno all'inizio, per i romanzi di narrativa contemporanea. Qui, al contrario, ce ne sono alcuni che ambiscono a diventare dei classici. Ma nessuno, né l'autore né l'editore, può saperlo in anticipo. Solo il tempo lo dirà.
E allora perché non pubblicarli, inizialmente, solo in formato e-book ? Poi, se il testo sarà effettivamente diventato un classico, si potrà prevedere l'edizione cartacea.

Discorso diverso invece per la saggistica. Un testo di saggistica, per sua stessa natura, non viene letto una sola volta, ma riletto, sfogliato su e giù, consultato, sottolineato.
Certo, queste cose si possono fare anche sui dispositivi elettronici, ma ad oggi è un'operazione veramente scomoda, né ci sono margini di miglioramento: la tecnologia degli e-reader è infatti arrivata al capolinea, e ad ammetterlo sono gli stessi creatori. D'ora in avanti potranno esserci solo piccoli aggiustamenti, sciocchezzuole come il design, il colore, la luminosità, ma più nulla di strutturale.
I testi di saggistica avranno quindi sempre bisogno di essere pubblicati prima di tutto su carta. Semmai la versione elettronica potrà essere usata per raggiungere il pubblico dei lettori potenziali, che magari si sentono respinti dal poderoso e pesante tomo di carta - che spesso e volentieri ha anche un prezzo molto alto - ma che sarebbero disposti a leggerlo in formato e-book, ad un prezzo ovviamente minore.


Gli e-book possono inoltre aiutare a rimettere in circolazione testi ormai fuori catalogo da anni o decenni, introvabili sul mercato ma che meriterebbero una seconda occasione, e con loro i loro autori, anche se scomparsi da tempo.


Insomma, nella sfida tra e-book e libri di carta non ci sono né vinti né vincitori. Servono entrambi, e continueranno a esistere entrambi.


Quanto a me, ho imparato ad apprezzare gli e-book, e ora non potrei fare senza, per ragioni economiche e di spazio.
Ma non posso nemmeno fare senza i libri di carta. Nelle foto qui sotto potete vedere quelli in attesa di lettura sul mio comodino. E dentro il tablet ce ne sono almeno altrettanti.

Buona lettura a tutti !



mercoledì 29 giugno 2016

Io e l'Arte Contemporanea : storia di un'incomprensione

A me piace molto l'Arte, anzi, le Arti : pittura, scultura, architettura, poesia, musica, letteratura. Ma più di tutte mi piace la pittura, i quadri, le tele di artisti noti e meno noti.

Su tutti i libri, da quelli di scuola media ai saggi universitari, la Storia dell'Arte parte con le pitture rupestri delle grotte preistoriche per arrivare ad oggi.

Io, personalmente, mi fermo a Picasso. Tutto quello che viene dopo di lui, confesso, non lo capisco. Forse perché non c'è niente da capire.
 Per quel poco che ne so infatti agli "artisti" di oggi non interessa essere capiti, bensì mettere in scena il gesto estremo, la provocazione.
E a fare le loro fortune - sì, perché le opere di Arte Contemporanea possono raggiungere quotazioni stratosferiche, alla pari con quelle dei grandi maestri del passato - sono i galleristi.

Di fronte ad un'opera di Arte Contemporanea, la reazione tipica del visitatore medio è << Eh, però saprei fare anch'io una roba del genere."
Tentazione comprensibile, almeno quanto è incomprensibile l'opera che ci sta davanti.

Un'altra idea molto diffusa è che, dopo l'invenzione della fotografia, avvenuta nella seconda metà dell'Ottocento, non avesse più senso mettersi a dipingere paesaggi e ritratti, che potevano essere eseguiti molto più facilmente con il nuovo mezzo espressivo. Si pensa che l'Arte abbia quindi dovuto abbandonare la rappresentazione dell'immagine (ARTE FIGURATIVA) per esprimere invece ciò che si trova nella mente dell'artista (ARTE CONCETTUALE).

Questo avrebbe portato, alla fine, ai celebri "tagli nella tela" di Lucio Fontana, che rappresenterebbero il definitivo superamento del vecchio modo di intendere l'arte: ad essere cancellata non è più solo l'immagine, ma addirittura il supporto - la tela, appunto - sul quale l'immagine era collocata.

Contemporaneamente gli artisti sviluppano una nuova e più importante concezione di se stessi: se ciò che conta ora si trova nella mente dell'artista stesso, allora i gesti, i comportamenti, le scelte della sua persona diventano Arte.
Esempi sono il celebre Orinatoio di Marcel Duchamp - un oggetto di uso comune che diviene opera d'arte per il semplice fatto di aver solleticato la sensibilità dell'autore - e l'altrettanto celebre Merda d' artista di Piero Manzoni.

Oggi invece siamo nell'era delle installazioni e delle performances. Le prime sono strutture pensate per coinvolgere il visitatore, farlo entrare nell'opera d'arte, fargliela usare, far diventare lui stesso parte dell'opera. Un esempio è la recente opera di Christo Floating Piers, la passerella che permette di "camminare sulle acque" del Lago d'Iseo.
 Le seconde prevedono invece la presenza dell'artista, che in vari modi interagisce con il visitatore, allo scopo di porre l'accento su di sé e sui cambiamenti operati in lui/lei dai visitatori, e viceversa. In questo campo molto nota è Marina Abramovich.


Io, personalmente, resto dell'idea che un'opera d'arte debba smuovere qualcosa in chi la guarda, debba emozionare, debba coinvolgere.
L'Arte Contemporanea questo non lo fa, proprio perché non si fa capire. Del resto i titoli delle opere sono spesso parole senza senso come "Studio n. 1" oppure "Visione n. 14". Né aiuta la presenza di materiali di uso comune, che può portare ad effetti come quello della storiella più volte circolata di una donna delle pulizie che getta via dell'immondizia lasciata nella sala di un museo senza sapere che l'immondizia stessa era un'opera d'arte.

Io ho lavorato presso il Museo di Arte Contemporanea del Castello di Rivoli, vicino qui a Torino. E, come dice la celebre battuta di Blade Runner, << Ho visto cose che voi umani non potete neanche immaginare >>.

Ogni volta che guardo una cosiddetta opera di Arte Contemporanea mi sento preso in giro.

Poi magari a qualcuno piace, per carità.

martedì 28 giugno 2016

Recensioni 1 - "Tecniche di seduzione" di Andrea De Carlo

E inauguriamo anche lo spazio recensioni con un romanzo terminato da poco.

La storia sembra ambientata nell'Italia di oggi: soldi facili, funzionari ministeriali che rubano lo stipendio, connessioni tra televisione e politica, appartamenti in pieno centro di Roma affittati per pochi spiccioli...

Sembra, appunto, perché è stato pubblicato nel 1991 !

Il protagonista è un oscuro giornalista milanese, impiegato presso un altrettanto oscuro periodico, con una vita grigia e deprimente. Coltiva ambizioni letterarie e nel tempo libero lavora ad un romanzo, nel cassetto ormai da tempo immemore.

Improvvisamente, come per caso, gli si spalanca davanti la strada per il successo: il più famoso scrittore italiano, uno che oggi andrebbe da Fazio mattino, pomeriggio, sera e pure i weekend, lo introduce nel dorato mondo di Roma, gli apre la sua casa, gli dona la sua amicizia, gli assicura contratti milionari (all'epoca, è ovvio, c'erano ancora le lire) per il suo romanzo.

Poi, come in ogni buona storia che rispetti la struttura in tre atti, il crollo.

Lo sai che succederà, mentre leggi ti senti superiore al protagonista, che è tanto allocco da cascare nella rete preparata per lui. E nonostante questo non riesci a staccarti, perché il ritmo e lo stile della storia sono avvincenti, legano anche il lettore nella stessa rete del personaggio.

E' un romanzo, dicevamo, quindi una storia di fantasia (ma quanto ?). Ma ha il merito di mettere a nudo, almeno un poco, il mondo di "quelli che stanno in alto" : scrittori, politici, personaggi televisivi, attori, che vivono in un'altra dimensione rispetto a noi comuni mortali.

E ti fa vedere come, in 25 anni, nulla sia cambiato.

E' da leggere anche oggi, ancora oggi, non solo per questo, ma perché può mettere in guardia i tanti, tantissimi scrittori in erba: di questi solo pochissimi riescono davvero a entrare nel mondo dell'editoria, e chissà quanti sono stati illusi, incensati e subito dopo sputati fuori come il protagonista del romanzo.

Attenti, dunque, che le Sirene non sono riuscite a incantare Ulisse, perché lui era uno che ne sapeva, ma con noi ci riescono benissimo.

lunedì 27 giugno 2016

Sono diventato grande

Questo è il mio primo post sul nuovo blog.

Il precedente sta ormai morendo, perché la piattaforma su cui era ospitato ha annunciato la chiusura, per motivi mai ufficialmente detti ma a chiunque evidenti, ovvero l'ormai incontrastato dominio dei social network e di Whatsapp.

Quel portale si chiamava Giovani.it : mi ci ero iscritto nel 2005. Undici anni fa.

Da allora ad oggi ho preso una laurea, due master, ho scritto un libro che sarà presto pubblicato, ho collaborato alla traduzione di un altro.

Continuo a cercare un lavoro, una ragazza, un motivo per sorridere.

Ho vissuto da solo per nove di questi undici anni, prima di tornare a vivere con i miei genitori, per i soliti motivi.

Nel mesto trasloco di ritorno, il 90% degli scatoloni contenenti la mia vita erano di libri.

Vorrei usare questo spazio non per piangermi addosso, ma per esporre il mio pensiero (politico, religioso, sessuale), per scrivere recensioni di libri, film e fumetti, per riflettere su quanto sta accadendo nel mondo di oggi.

Per raccontare come si viveva nei secoli passati - io sono uno storico e ho una laurea in archeologia - e dimostrare che, in fondo, molto poco è cambiato.

Per far conoscere la bellezza dell'Arte, della Natura, della libertà di parola e pensiero.

Per mettere in guardia dai demagoghi, dai falsi allarmismi, dall'ignoranza dilagante imposta dall'alto.

Saranno post molto lunghi, come questo, perché lo sviluppo di un ragionamento richiede pazienza.

Io preferisco scrivere, non parlare: è così che comunico.

Prometto che cercherò di non essere "professorale", di non fare la "lezioncina", di non tirarmela come se avessi la verità in tasca.

Non ce l'ho: posso solo mettere insieme i pezzi, divulgare ciò che so, tirare fuori dai libroni le analisi colte, dotte & sagge e renderle comprensibili a tutti (non a caso i miei miti sono Piero&Alberto Angela).

Ecco quello che farò.

Seguitemi, se volete.