domenica 3 luglio 2016

Economia e finanza, ovvero : ma siamo impazziti ??? Sì !

I romanzi, si sa, spesso raccontano la realtà molto meglio di aridi reportage sui giornali.

Un bravo narratore, e questa qualifica non è cosa da tutti, sa mettere in scena, attraverso vicende fittizie e personaggi immaginari, i mutamenti della società, l'evoluzione del pensiero, della morale, della mentalità delle persone: in una parola, la Storia.

In questi giorni sto leggendo il seguente libro: New York, di Edward Rutherford, Mondadori 2010

L'autore è noto per i suoi numerosi romanzi storici, dedicati ciascuno ad una città o ad un territorio (La foresta, London, Paris, Russka, Sarum) scritti sempre secondo la stessa formula: si parte dal primo insediamento in un dato luogo, magari dalla preistoria, e attraverso le vicende di alcune famiglie che si intrecciano tra loro (generalmente una famiglia ricca fin dagli albori e una famiglia povera sempre fin dagli albori), e usando come filo conduttore un particolare oggetto che passa di mano in mano attraverso le generazioni, si racconta la nascita, la crescita, lo sviluppo e l'esplosione di quel territorio o di quella città fino ai giorni nostri.

Nel caso di New York non poteva, ovviamente, mancare un capitolo in cui, grazie agli occhi dei personaggi, vediamo la nascita della Borsa, delle grandi banche oggi famose, dell'alta finanza.

Di seguito cito alcuni brani che narrano del rapporto tra un facoltoso mercante, rappresentante del vecchio modo di fare soldi, e i finanzieri della neonata Wall Street. Siamo intorno al 1880.



"Per come la vedo io, un uomo di Wall Street è uno scommettitore. Ne ho visti alcuni scommettere per un intero pomeriggio su quale goccia di pioggia sulla finestra sarebbe arrivata per prima in fondo. Un uomo di Wall Street è anche avido. Non c'è niente di male in questo. Senza avidità, dico sempre, non ci sarebbe civiltà. L'uomo di Wall Street però non ha la pazienza di lavorare la terra o di fabbricare le cose. E' intelligente, ma non è profondo. Investe in società, ma non si preoccupa molto di quello che sono, o di quello che fanno. Ciò che vuole è scommettere su di esse. Wall Street sarà sempre piena di giovani, che scommettono."
"Giovani ?" disse Frank "E degli anziani che ne facciamo, Gabriel ?"
"Bé, quando un giovane invecchia, tira su una famiglia, si assume delle responsabilità. E dopo cambia: è nella natura umana. Lo si vede di continuo. L'uomo con delle responsabilità non scommette nella stessa maniera. Il suo modo di operare è differente."
"In che senso ?"
Gabriel Love li guardò entrambi, e di colpo i suoi occhi azzurri si indurirono.
"Trucca le carte" disse bruscamente.

A Gabriel Love piaceva vendere allo scoperto. Se aveva la sensazione che il mercato stesse calando o, meglio ancora, se aveva delle informazioni riservate su un titolo che stava per avere dei problemi, allora si offriva di vendervi una quota di azioni, in una data futura, a un prezzo di molto inferiore a quello corrente. Scioccamente voi avreste pensato di aver concluso un affare. E, il giorno prefissato, il prezzo di quelle azioni sarebbe sceso molto più di quanto avreste immaginato, lui stesso le avrebbe acquistate a un buon prezzo e voi vi sareste trovati obbligati a levargliele dalle mani a un prezzo più alto di quello concordato, lasciando lui con un bel profitto e voi con una perdita cospicua. E per fare tutto ciò gli bastava scommettere o, più precisamente, truccare le carte, dal momento che lui sapeva qualcosa di quelle azioni che a voi non era dato conoscere.

Fattorini, venditori ambulanti, carrozze che trasportavano uomini d'affari come lui stesso. Era la vecchia New York, giusto ?
No, non proprio. Non più.
Passò davanti ad un edificio severo e massiccio. Numero 23. House of MORGAN. Mentre lo superava, Frank non poté fare a meno di chinare il capo. Sì, lui, uno dei Master, amico dei Roosvelt e dei Vanderbilt, non riusciva a trattenere un fremito di soggezione mentre superava gli uffici di Morgan. Quello era il problema. Quella era la ragione per cui non apparteneva più a quel luogo.
Ma suo figlio Tom sì.

Era stata la Guerra Civile a cambiare davvero Wall Street. La Guerra Civile e il West americano. Flussi massicci di capitale erano necessari per finanziare l'una e sviluppare l'altro. E dove si poteva trovare il capitale ? Solo in un posto, nel centro economico del mondo intero: Londra.
Era Londra che aveva finanziato l'America. Così come, un secolo prima, la ricchezza dell'America si era costruita sul grande triangolo Londra, New York e commercio dello zucchero - e più tardi sul commercio del cotone degli Stati del Sud - ora un motore nuovo e meno visibile, ma ugualmente potente, stava spingendo la corsa: il flusso di credito e di azioni tra Londra e New York.
Era qui che era cresciuta la House of MORGAN. Junius Morgan era un rispettabile gentiluomo del Connecticut che aveva riattraversato l'oceano e si era affermato come banchiere a Londra. Predisponeva prestiti da Londra all'America, e quei prestiti crescevano enormemente.
 Ma adesso al timone si trovava suo figlio. J.P. MORGAN stava diventando una leggenda del suo tempo. Erano J.P. Morgan e altri uomini come lui ora i re di Wall Street e, a causa loro, persino un agiato mercante come Frank Master non si sentiva più a proprio agio lì. Perché le operazioni dei banchieri e le alleanze industriali stavano diventando così grandi, le somme di denaro così imponenti, che i personaggi come Master non contavano più molto. I banchieri non compravano né vendevano merci: compravano e vendevano affari. Non finanziavano viaggi: finanziavano guerre, industrie, persino piccole Nazioni.



Ecco com'è nata l'alta finanza.
Ecco come si è perso il contatto con la realtà.
Io trovo aberrante comprare e vendere "cose volanti" al posto di merci concrete, di oggetti, di prodotti.
Trovo spaventoso che questa gente compri e venda industrie senza curarsi di cosa producono, e ovviamente senza tenere nella minima considerazione le persone che ci lavorano dentro. Anzi, le persone sono per loro un peso, un fastidio, qualcosa di cui liberarsi.
Trovo orribile che i finanzieri vivano nel loro Olimpo fatto di azioni, di titoli, di cambi, e che giochino (barando, oltretutto, come abbiamo visto) con la vita di milioni di persone solo per soddisfare la loro avidità (anche questo lo abbiamo visto).

Certo, ci sono altre categorie di persone che vivono in un loro Olimpo: i politici, gli attori, i calciatori. Ma loro, almeno, ogni tanto scendono in mezzo a noi,
I finanzieri no.

Possibile che non ci sia un limite, a questa loro avidità ?
Possibile che, dopo aver guadagnato così tanti soldi da sistemare i propri discendenti per i prossimi due o tre secoli, vogliano guadagnarne ancora, continuare a giocare, a scommettere ?

Questa mi sembra la stessa patologia che affligge il poveretto che si gioca i risparmi ai videopoker, o chi frequenta i casinò e i posti come Las Vegas.


Si è detto che l'attuale crisi ha avuto origine nell'alta finanza e ha poi infettato "l' economia reale".
Ecco, appunto.
Se le parole hanno un significato, definire la nostra economia quotidiana "economia reale" vuol dire che l'altra, quella dell'alta finanza, è un' "economia irreale", finta, immaginaria, fantastica.
Finta, immaginaria, fantastica, come i draghi e gli unicorni delle saghe fantasy, come Harry Potter e il gioco del Quidditch e la Scuola di Magia di Hogwarts.
Un tempo si credeva all'esistenza dei draghi, degli unicorni, delle streghe, e questa credenza condizionava la vita delle persone. Poi si è capito che erano solo storie, favole da raccontare ai bambini, e il mondo è andato avanti, c'è stata un'evoluzione, un progresso del pensiero umano.


Forse è venuto il momento di fare un altro passo in avanti. Di liberarci della finanza, dell' "economia irreale", e tornare a vendere e comprare prodotti, oggetti, merci.
Non significa tornare al baratto. I soldi ci sono, servono, non potremmo né potremo mai eliminarli. Ma che siano soldi "fisici", banconote e monete che passano di mano in mano, tra persone che si guardano negli occhi, che siano custodite in banche che facciano solo questo, custodire i risparmi dei propri clienti, senza azioni, senza titoli, senza operazioni strane.

Le aziende devono tornare ad avere successo, o fallire, non in base ai titoli in Borsa, comprati e venduti da chissà chi, ma all'impegno e alla capacità imprenditoriale dei loro proprietari, all'efficienza dei loro lavoratori (efficienza che si ottiene solo se i lavoratori stessi sono tranquilli sul loro futuro, se sanno di poter ricevere regolarmente lo stipendio, di poter fare progetti di famiglia, di non doversi preoccupare per i loro figli), all'innovazione continua.

Almeno, io penso che si debba fare così.

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