mercoledì 27 luglio 2016

Salone del Libro, Torino, Milano : una riflessione.

E' infine arrivata la notizia, attesa ma non per questo meno temuta.

Dal 2017 ci sarà un Salone del Libro anche a Milano.

A Torino ci sarà ancora l'edizione del trentennale, ma poi ?

Prima di mettersi a piangere recriminando che "ci hanno portato via anche questo" vediamo di fare un attimo il punto.


   Il Salone del Libro è nato nel 1987. Io avevo sei anni. Sapevo leggere già da uno, e da allora non mi sono perso un'edizione. Ricordo ancora e ricorderò sempre la gioia provata quando, dopo la scuola, mia mamma e mia nonna mi portavano al Salone. Per me era quello il massimo, la "figata", ben più che trovarmi in un negozio di giocattoli e scegliere quello che volevo (cosa successa anche questa, più volte: ammetto di essere stato un bambino fortunato).

All'epoca il Salone si teneva a Torino Esposizioni. Era ancora piccolo e poco conosciuto, una manifestazione quasi di nicchia. Forse a causa della mia verde età del tempo non ricordo bene come fosse fatto, o quali fossero le differenze rispetto alle edizioni successive, quando traslocò al Lingotto Fiere.
 Inoltre, appunto dopo il trasloco, la ripetizione, anno dopo anno, della stessa identica formula, con la stessa organizzazione degli spazi, la stessa cartellonistica, lo stesso design, ha inevitabilmente cancellato dalla memoria quello che c'era prima.

Nonostante questo io ho sempre trovato la ripetizione rassicurante. Sapere che, ogni anno, avrei ritrovato le stesse cose nello stesso posto mi faceva stare bene. Avrei potuto camminare a occhi bendati e non mi sarei perso, avrei saputo sempre esattamente quale stand si trovava di fronte, dietro e di fianco a me.

I primi tempi tornavo a casa carico di libri. Poi, seguendo il consiglio di mia mamma, che mi aveva dimostrato come, in fondo, i testi delle Case Editrici famose si trovassero normalmente anche nelle librerie, ogni giorno, sono diventato più selettivo, concentrandomi sui volumi pubblicati dalle Case Editrici più piccole e meno note.
 Ho inoltre imparato a concentrare gli acquisti alla sera dell'ultimo giorno, il lunedì, quando molti stand applicavano sconti anche notevoli, per l'ovvia ragione di volersi liberare di quanta più roba possibile prima di rifare i bagagli.

Negli ultimi anni poi, un po' grazie ai master di editoria che ho frequentato, che mi hanno fornito di pass gratuiti come "operatore del settore", e un po' agli abbonamenti fiera, ho passato dentro il Salone tutti e cinque i giorni, dal giovedì al lunedì, dall'apertura alle 10.00 alla chiusura alle 22.00.

(ecco un vantaggio dell'essere disoccupati !)

   Ho seguito decine di incontri, conferenze, dibattiti, presentazioni, lectiones magistrales, potendo finalmente vedere in volto, sentire la viva voce, apprezzare la personalità dei grandi nomi della letteratura, dell'arte, della scienza, dello spettacolo, che come tutti conoscevo solo indirettamente. Vederli dal vivo è un'altra cosa, non sono più solo nomi su un libro o facce dentro lo schermo televisivo: ricevi veramente qualcosa di più.

   Molte volte, per un'abitudine mia che mi è rimasta dai tempi dell'università, ho preso appunti: desideravo infatti conservare non solo il ricordo dell'evento, ma la sua sostanza, fissarne i contenuti sulla pagina per arricchire la mia biblioteca cartacea. Non mi è mai interessato avere autografi o foto, e questo già ben prima dell'invenzione dei selfie.

   I giorni del Salone del Libro li aspettavo tutto l'anno, risparmiavo soldi per dodici mesi, ogni volta che prendo in mano un testo so esattamente se l'ho comprato al Salone oppure no.



Ma questi sono ricordi personali.

Passiamo invece ad un altro piano.

La formula sempre uguale a se stessa può, mi rendo conto, stufare. Certo si ha paura di cambiare, perché se una cosa funziona bene da trent'anni sembra stupido voler stravolgere tutto.
 Ma così facendo ci si comporta esattamente come certe vecchie signore che dicono "Io faccio così perché mia madre ha sempre fatto così". Non si ha il coraggio di esplorare nuove strade, di sondare nuove possibilità.

 La chiave del successo, in ogni campo, è l'evoluzione. Al contrario la stagnazione, l'autocompiacimento, la volontà di arroccarsi sulle proprie posizioni, la tendenza a sedersi sugli allori non hanno mai portato nulla di buono.

Un cambiamento era necessario, urgente, non più procrastinabile.

Certo sarebbe stato meglio non dover assistere alla triste e squallida vicenda giudiziaria. Un altro scandalo nel mondo della cultura, non dissimile da quello che ha coinvolto Giuliano Soria, padre-padrone del famoso Premio Letterario "Grinzane Cavour".

Anche nella cultura, a questi livelli perlomeno, girano tanti soldi, e dove ci sono tanti soldi fioriscono le occasioni che fanno gli uomini (e le donne) ladri. Ma spesso non è solo una questione di ingrassare il proprio conto in banca, bensì di potere, di ambizione, di autorità, di superbia: sentirsi Dio, poter con una parola dare e togliere, "affannare e consolare" (per citare Il Cinque Maggio), innalzare e affossare.



   Dopo l'edizione del trentennale Torino perderà forse per sempre una manifestazione che era diventata una delle caratteristiche principali del suo territorio.

 Non bisogna farne una questione campanilistica. Ogni città può avere eventi simili a quelli di un'altra, pur mantenendo la propria specificità.
 Vi porto un esempio, di un settore in parte analogo : quello dei FUMETTI.
 Nel mondo degli appassionati di fumetti, cartoni animati, film e telefilm - appassionati adulti e maggiorenni, che seguono in egual misura i comics dei supereroi americani e i manga e gli anime giapponesi, Star Wars e Star Trek, Il Signore degli Anelli e Game Of Thrones - esistono numerose fiere del settore, dove vengono presentate le ultime novità e le anticipazioni, ci sono incontri con autori e disegnatori, dibattiti, eventi di vario tipo.
 La principale è quella che si tiene a Lucca, ovvero il LUCCA COMICS. Ma ce ne sono anche a Milano (FUMETTOPOLI), a Roma (ROMICS) e a Napoli (NAPOLI COMICON). Ce n'è una anche a Torino (TORINO COMICS), ma dopo i primi anni di gloria, a causa di una gestione sbagliata, è stata sempre più snobbata, fino a ridursi a una cosuccia povera e triste. Negli ultimi anni poi stanno acquisendo sempre maggiore importanza fiere organizzate in località più piccole.
 All'occhio di un non-appassionato queste fiere sembrano tutte uguali, quale che sia la città. Ma, al contrario, ciascuna di esse ha una sua anima, un suo aspetto riconoscibile e caratteristico.


   Per il libro dovrebbe poter avvenire la stessa cosa. Non più un solo Salone del Libro, ovunque esso sia, ma tanti, distribuiti su tutta l'Italia e per tutto l'arco dell'anno.
 Alcuni appuntamenti ben conosciuti e apprezzati ci sono già, come la Fiera del Libro per Ragazzi di Bologna o il Festival Letteratura di Mantova.
 Si tratta solo di allargare l'offerta.

   I numeri di visitatori possono essere molto interessanti. Anche se negli ultimi anni del Salone di Torino le cifre sono state gonfiate, si tratta comunque di un flusso di tutto rispetto. E lo stesso avviene negli altri due casi citati di Bologna e Mantova.

   Chi va ad una manifestazione letteraria - tolte le classi scolastiche di varie età che sono più o meno costrette dai loro insegnanti - lo fa perché ama davvero leggere, approfondire, farsi una cultura.
 Solo di rado, in eventi di questo tipo, trovi un visitatore sperso e confuso, che non sa cosa vuole (come spesso accade nelle librerie, i cui commessi si sentono rivolgere richieste che denotano una totale, abissale, irrimediabile e ahinoi spesso compiaciuta ignoranza).



   A livello personale mi dispiace immensamente per la fine del Salone del Libro di Torino, che è stato una parte fondamentale e strutturale della mia vita. Tra l'altro per i dieci anni in cui ho vissuto da solo (2004-2014) ho abitato proprio davanti al Lingotto, quindi mi bastava uscire di casa e dopo pochi passi ero arrivato.
 La mia vita cambierà, in peggio.

Ma io non conto niente, in questo caso. Conta la diffusione della cultura, la battaglia per non cedere all'ignoranza, al fanatismo, all'intolleranza (che sono nostre, occidentali, europee, ben prima che mediorientali o islamiche). Conta la necessità di crescere nuove generazioni consapevoli, preparate, curiose di scoprire, di imparare, di allargare sempre più i propri orizzonti e interessi.

W I LIBRI !

lunedì 25 luglio 2016

Violenza sulle donne e storia del mondo femminile - Parte Terza

Riprendiamo il nostro discorso.

Eravamo arrivati all'affermazione delle società patriarcali. Il modello storico-antropologico ancora oggi prevalente, sebbene messo parecchie volte in discussione, ne ha individuato l'origine nelle steppe della Russia, dove viveva un gruppo di popoli che, per pura e semplice convenzione, vengono chiamati INDOEUROPEI

(un altro nome con cui sono noti è quello di ARIANI, ovvero i figli di Ario, mitico personaggio che compare nelle tradizioni epiche dell'India. Il termine di "ariani" è oggi conosciuto per via delle teorie di Hitler: in effetti il simbolo del nazismo, la croce uncinata, non è altro che uno dei tanti simboli sacri dell'arte indiana).

Circa 3.000 anni prima di Cristo questo gruppo di popoli migrò dalle sue regioni di origine, dirigendosi in parte verso est, dove diede origine alle grandi civiltà dell'India, e in parte verso ovest, ovvero in tutta l'Europa e nel Medio Oriente.

La principale prova di questi avvenimenti sta nella LINGUA. Le cosiddette LINGUE INDOEUROPEE sono tutte quelle che, pur nella diversità della loro evoluzione successiva, conservano alcune parole comuni, generalmente quelle relative alla famiglia (l'esempio classico che si fa è quello del latino pater e dell'inglese father, ma ce ne sono molti altri).

Questi popoli portarono con sé la loro organizzazione sociale, basata sulla preminenza dell'uomo sulla donna.
 Come spesso avviene, anche la concezione religiosa e l'idea del divino riflettevano l'esperienza terrena. Ecco quindi la comparsa delle grandi divinità maschili, da Zeus/Giove a Odino, che governano sulle proprie famiglie divine nello stesso modo in cui l'uomo governa sulla propria famiglia terrena.

Nella zona del Medio Oriente si assiste poi ad un'ulteriore specializzazione. Accanto a grandi pantheon come quello degli Assiri e dei Babilonesi si ha lo sviluppo di divinità "nazionali", specifiche di un certo popolo o etnia: divinità che sono, ovviamente, maschili, e anche quasi sempre sole, nel senso che ad esse non vengono associate altre figure divine.

(da questo si può capire come gli Ebrei, i quali ancora oggi sostengono di essere stati i primi a venerare il Dio unico, in realtà fossero in buona compagnia. Yavhé, il Dio degli Ebrei, era solo uno tra tanti).


Con l'affermazione delle nuove società, le donne vengono relegate in un ruolo sempre più subalterno. Non mancano esempi in cui conservano una certa libertà, come tra gli Egizi o tra gli Etruschi, ma più spesso perdono qualsiasi autonomia.

Il caso più eclatante è quello dei Greci.

Sì, proprio i Greci, la civiltà da sempre considerata la più bella, la più perfetta, la più magnifica, l'esempio più alto mai creato dagli uomini.
 Ebbene, i Greci tenevano le donne segregate in casa, addirittura in una parte separata dell'abitazione (il gineceo). Potevano uscire solo se accompagnate da altre, mai da sole. Passavano dalla tutela del padre a quella del marito e in generale dei parenti maschi, figli compresi. Portavano il velo. Non avevano alcuna istruzione, né possibilità di farsela.

Insomma, i tanto osannati Greci erano tali e quali i Talebani e i jihadisti dell'ISIS oggi.



Nell'antica Roma la situazione migliora un po', specie durante i grandi secoli dell'Impero.

Ma con l'inizio del Medioevo, e la vittoria del Cristianesimo, alla donna viene affibbiata anche la colpa di aver corrotto l'uomo, offrendogli la mela dell'albero proibito. Inoltre viene stabilita come verità di fede la storia della Genesi

(storia che, a ben guardare, è solo una delle infinite versioni sulla creazione del mondo e dell'umanità, che si ritrova più o meno sempre uguale in tutti i popoli, anche extraeuropei)

secondo cui la donna è stata creata da una costola dell'uomo.

In quanto derivata dall'uomo, appare quindi naturale che sia a lui sottomessa, in tutto e per tutto.



Nel corso dei secoli le donne hanno saputo affrancarsi da questa situazione di vera e propria schiavitù affinando le armi della seduzione, del sotterfugio, della dissimulazione, dell'inganno.

Non perché siano intrinsecamente malvagie, come la cultura dominante ha voluto e vuole ancora farci credere, ma perché era l'unico modo che avevano per conservare la propria dignità: hanno usato, e usano tuttora, il proprio corpo per affermare il diritto all'esistenza che in tutti gli altri campi è loro negato.


Prima di arrivare alla società di oggi abbiamo avuto le battaglie per il diritto di voto e per l'aborto, oltre che tutta la cultura di stampo femminista.
 La vera parità dei sessi è, purtroppo, ancora lontana. Le famose "quote rosa" già nel nome non sono altro che una concessione fatta di malavoglia. Una donna che voglia lavorare e non fare figli viene vista con sospetto, come se in lei ci fosse qualcosa di sbagliato; mentre se vuole lavorare e allo stesso tempo fare figli le viene tolto il lavoro, perché si pensa che non possa fare bene entrambe le cose ma soprattutto perché la si vuole costringere ad essere prima di tutto ed esclusivamente una madre, unico lavoro, unica vita, unica realizzazione personale che le si può concedere).


E sono ancora troppi, lo sappiamo, gli uomini che considerano le donne una loro proprietà personale, come la macchina o la moto. L'idea che questi oggetti possano pensare, avere una vita propria, voler persino staccarsi da loro è semplicemente inconcepibile.

Infatti non tutti gli uomini che picchiano le donne sono, in origine, dei mostri. E' che proprio non ci arrivano. Una donna indipendente, libera, autonoma è un concetto del tutto al di fuori del loro orizzonte di pensiero

(è come se a un pesce nato e cresciuto dentro la classica boccia di vetro venisse detto che esiste l'oceano: non potrebbe mai figurarselo, immaginarselo, concepirlo).


In questi casi l'uomo reagisce con la violenza perché, di nuovo, è l'unico linguaggio che conosce. E' come quando un cowboy doveva domare un cavallo selvaggio, insegnargli a sopportare la sella, il morso e il peso sulla schiena: si tratta di far capire chi è il padrone, chi è che comanda.


Se le botte non bastano, si arriva all'omicidio (o "femminicidio", per usare la bruttissima parola in voga oggi: brutta perché il termine stesso "femmina" ha assunto con il tempo una connotazione negativa, derisoria, che sottolinea l'inferiorità. Quante volte abbiamo sentito dei bambini maschi che giocano tra di loro dire "Eh, ma quelle sono femmine !". E che dire di "femminuccia", epiteto affibbiato a quel maschio che si dimostra poco virile ?).

Le donne, oggi, vengono uccise dagli uomini per affermare in modo definitivo i propri diritti sull'oggetto, il possesso esclusivo dell'oggetto stesso.


Se a questo si aggiunge la violenza divenuta ormai interna alla nostra società, di cui abbiamo parlato nella prima puntata, si capisce come non bastino proclami, iniziative, dibattiti per cambiare le cose.

Bisogna ripartire da zero, su nuove basi, costruire una società nuova, completamente diversa.

Donne e uomini, insieme, fianco a fianco.

Perché è ora di cambiare l'abusata frase "DIETRO a ogni grande uomo c'è sempre una grande donna".

Facciamola diventare "ACCANTO a ogni grande uomo c'è sempre una grande donna".

lunedì 11 luglio 2016

Violenza sulle donne e storia del mondo femminile - parte seconda

Dobbiamo a questo punto fare un salto indietro nel tempo, di migliaia e migliaia di anni.

Siamo nella Preistoria. Gli esseri umani si sono diffusi per tutto il pianeta, ma le grandi civiltà sono ancora di là da venire. Le società sono molto semplici: tribù e clan, spesso composti da poche decine di persone.

I possenti animali che ancora percorrono la Terra sono molto pericolosi per l'uomo, che al momento dispone di un arsenale decisamente limitato. Per cacciarli è necessaria la collaborazione di tutto il gruppo, che come abbiamo detto è spesso assai ristretto.

Quindi anche le donne partecipano alla caccia, per il semplice motivo che, se gli uomini andassero da soli, non ce la farebbero mai: sarebbero troppo pochi numericamente.

 Lo stereotipo della donna che rimane nella caverna ad accudire i figli e a lavorare le pelli è quindi sbagliato, anche perché è sbagliata l'idea stessa di "cavernicoli" : le caverne costituivano un rifugio solo temporaneo, o erano usate per riti sciamanici (ecco il perché delle famose pitture, come quelle di Lascaux e di Altamira); possono essere state abitate per qualche tempo, magari stagionalmente, ma non ci sono tracce di una presenza protratta nel tempo, per anni o generazioni.

Nello stesso periodo si diffondono anche le prime forme d'arte. Oltre le citate pitture delle caverne esistono delle piccole sculture in pietra, osso o avorio, che rappresentano figure femminili dalle forme abbondanti e generose, in particolare i seni :

sono le cosiddette "Veneri del Paleolitico".



Sebbene non ci sia un totale accordo tra gli studiosi, generalmente si ritiene che queste figure - la cui produzione continuò anche per tutto il Neolitico - rappresentino un omaggio alla femminilità, vista come fonte di vita e di rinnovamento della Natura.

La rappresentazione non è casuale: una donna con i fianchi larghi e i seni abbondanti può generare e nutrire dei figli robusti, che hanno più possibilità di sopravvivere. Ad un uomo del Paleolitico o del Neolitico le nostre top-model magrissime e secche farebbero proprio schifo.

Non sapremo mai se queste piccole sculture fossero oggetto di un culto organizzato. Sappiamo però che il culto della Dea Madre, identificata spesso con la Terra stessa, è non solo molto antico, ma si ritrova - in forme decisamente simili - in tutte le culture e in tutte le epoche. Ed è sopravvissuto, anche se un po' in sordina, anche quando sono nati i grandi pantheon divini, da quello dell'antico Egitto con gli Dei dalla testa di animale, all'Olimpo greco, agli Dei del Nord capeggiati da Odino e Thor, senza dimenticare l'articolata famiglia delle Divinità dell'Induismo.

Nello stesso Cristianesimo il culto speciale tributato alla Madonna non è altro che la versione aggiornata di questo sentimento.



Dopo lo sviluppo dell'agricoltura i gruppi umani cominciarono a unirsi e a organizzarsi in forme più complesse, anche a livello gerarchico. Nacquero le classi sociali, e nacque anche un'altra cosa.

LA GUERRA.

Non che prima non ci fossero occasionali scontri tra un gruppo e l'altro. Ma allora gli esseri umani erano nomadi, potevano litigare per una preda o un territorio di caccia, ma nulla più.

Con l'agricoltura invece i gruppi diventano stanziali, e acquisiscono un territorio fisso che deve essere difeso dagli altri gruppi, sia quelli ancora nomadi - che sopravvivono con le razzie - sia quelli che ambiscono ad ampliare il proprio territorio a danno dei vicini.

E' solo a questo punto che si ha la definitiva separazione tra i due sessi : la donna in casa (o nei campi, dove comunque c'e sempre bisogno dell'aiuto di tutti, maschi e femmine) e l'uomo fuori.

Con la pratica costante della guerra il maschio acquisisce anche una corporatura più robusta e una muscolatura più massiccia. 
Fino a questo momento i due sessi erano stati, da questo punto di vista, molto simili, proprio perché era necessario per entrambi essere forti fisicamente, altrimenti non sarebbero sopravvissuti alle prove imposte da una Natura che era ancora in grado di soverchiare l'essere umano. E questo nonostante le normali differenze tra maschi e femmine che ci sono da sempre, negli esseri umani come in tutti gli altri animali (ricordiamoci che l' Homo Sapiens non è qualcosa di diverso rispetto agli animali, ma è un animale esso pure) : in una stessa specie la femmina è, quasi sempre (ma ci sono eccezioni), più minuta rispetto al maschio (si parla di DIMORFISMO SESSUALE).

L'epoca è ormai matura per l'affermazione delle SOCIETA' PATRIARCALI. 

Il loro arrivo porta anche un altro, grosso guaio : LA RELIGIONE.


Ma ne parliamo la prossima puntata !




venerdì 8 luglio 2016

Violenza sulle donne e storia del mondo femminile - parte prima

In questi giorni di attentati vari, Brexit, Europei e vacanze è scivolato come al solito in secondo piano il tema della violenza sulle donne.

Gli omicidi, invece, non si fermano mai.

Ma vi siete mai chiesti "Perché tanta violenza ?" ?

Qui parlerò dell'unica società che conosco, ovvero quella occidentale.

E' sotto gli occhi di tutti che la violenza, qualsiasi violenza, sia ormai ovunque.
Dal "femminicidio" (parola che per prima commette violenza, alla lingua italiana, ma rende bene l'idea) alla pedofilia, dagli stupri alle ormai consuete stragi nelle scuole d'America, sembra che in ogni momento, da qualche parte, venga commessa una violenza.

In realtà la percentuale non è superiore al passato: a livello numerico siamo sempre lì.
 Ad essere cambiate sono invece la facilità di comunicazione, l'accesso all'informazione, la circolazione delle notizie e il numero di persone che queste notizie sono in grado di leggere e comprendere.

Prendiamo il caso dei preti pedofili. Ci sono sempre stati, non è una cosa nata alla fine del XX secolo/inizio del XXI : solo che una volta non si sapeva, le notizie non circolavano, e ovviamente qualsiasi persona, compresi i rappresentanti del potere laico e civile, si inchinava di fronte alle tonache, anche dei gradi più bassi, perché "se l'ha fatto/detto il prete è giusto, obbedisci al prete, chiedi consiglio al prete". Oggi, si sa, le gerarchie ecclesiastiche cercano ancora di insabbiare i casi scomodi, ma ci riescono sempre meno, per fortuna.

Va poi ricordato che la propensione alla violenza che la società aveva da sempre dentro di sé veniva rivolta verso l'esterno, verso i nemici, verso gli Stati confinanti, verso tutto ciò che era diverso, lontano, altro rispetto a "noi". Le guerre che un giorno sì e uno no sconvolgevano l'Europa servivano da perfetta valvola di sfogo per queste pulsioni, che potevano scaricarsi liberamente, senza far danno a "noi". E poi, se stupri una donna del nemico non è un crimine, ma il legittimo premio del vincitore sullo sconfitto.

Questa era la visione imperante.

Poi le guerre, in Europa, sono finite. Dal 1945 in poi il Vecchio Continente ha vissuto una lunga era di pace interna, mai conosciuta prima in tutta la sua lunga storia.

Ma la violenza continuava ad esserci, eccome. Solo che, non potendosi più scaricare all'esterno, ha cominciato piano piano ad erodere l'interno della società, fino ad arrivare alla situazione di oggi.

Non voglio parlare qui dell'America, con la sua cultura delle armi benedetta dal Secondo Emendamento, perché è un discorso che ci porterebbe lontano: lo faremo, forse, un'altra volta.



In tutto questo le DONNE sembrano le vittime predestinate.

E non si tratta di episodi isolati, di momenti di rabbia dovuti all'esasperazione, all'alcool e simili.

Si tratta, al contrario, di una precisa e sistematica volontà di sottomissione.

E' un comportamento che viene messo in atto al fine di perpetuare l'ormai plurimillenaria società patriarcale, basata sul dominio assoluto del maschio.

Ma, come sempre, la volontà di dominio nasconde una fragilità interna, che si cerca di occultare ma è sempre presente.

Perché, in realtà, GLI UOMINI HANNO PAURA DELLE DONNE.

Come ? Perché ? Come è possibile ?

Seguitemi, e lo scoprirete !


lunedì 4 luglio 2016

Il sonno della ragione genera mostri

La famosa frase, titolo dell'altrettanto famosa acquaforte di Francisco Goya, descrive bene i tempi che stiamo vivendo.

Quindi bisogna mettere i puntini sulle "i", almeno alcuni.

1) L'estremismo ce l'abbiamo anche e soprattutto in casa nostra, ove per "casa nostra" intendo l'intera Europa. NOI abbiamo inventato le guerre di religione, non i musulmani, ai quali anzi abbiamo insegnato il concetto, lo abbiamo esportato (altro che << esportare la democrazia >>...spero che non ci sia più nessuno che ci crede ancora). Noi, figli dell'Europa e in particolare della sua parte occidentale, abbiamo sottomesso il resto del mondo, dalle Americhe alla Cina, dall'Oceania alle terre degli Eschimesi, perché ci credevamo e ci crediamo ancora superiori, migliori, eletti da Dio.

E' una questione di mentalità, di intimo convincimento, di fede potremmo dire. Non c'entrano niente i politici in questo momento sulla breccia, da Salvini alla Le Pen. Loro non sono diversi da noi: LORO SONO NOI, NOI SIAMO LORO. Noi li abbiamo eletti, noi li abbiamo mandati al potere: noi, con il nostro voto, o peggio ancora con il nostro non-voto.


2) Si paventa il ritorno dei muri, delle frontiere, dei confini. Peccato che non siano mai serviti a niente. Nessun confine, in tutta la Storia umana, è mai risultato inviolabile e inviolato, nessuna barriera è mai durata per l'eternità. I confini fisici sono destinati a cadere alla prima spallata, alla prima folata di vento.

Più difficile è abbattere i confini mentali, quella comoda divisione tra "noi" e "loro", tra "civiltà" e "barbarie", tra "esseri dotati di ragione" e "mostri irrazionali". Questa semplificazione della realtà ce la portiamo dietro dai tempi antichi, dai secoli della Grecia classica e di Roma imperiale.

Ciò che non si conosce fa paura, se fa paura lo si combatte, se è diverso da noi è legittimo distruggerlo, ucciderlo, cancellarlo.
 Questa è la mentalità diffusa. Non è colpa di nessuno, di nessun politico, demagogo, arruffapopolo: costui (o costei) non inculca nella gente un'idea nuova, bensì si limita, con belle parole e frasi ad effetto, a estrarre ciò che la gente già pensa.


3) Qualora una nazione riuscisse effettivamente, almeno per un certo tempo, a chiudersi del tutto in se stessa, bloccando ogni contatto con l'esterno, in realtà firmerebbe la propria condanna a morte.
 Il mondo globalizzato non è un'invenzione di oggi. IL MONDO E' SEMPRE STATO GLOBALIZZATO. Gli Stati, le Nazioni, i popoli si sono sempre scambiati idee, conoscenze, visioni, invenzioni, e proprio per questo sono progrediti.
 La decadenza, in tutti i casi, è arrivata proprio quando hanno esaurito la spinta verso l'esterno e hanno cominciato a rimirarsi l'ombelico, convinti di aver raggiunto la perfezione assoluta ed eterna.


4) Le migrazioni di popoli sono sempre avvenute, sono una costante della Storia umana. Oggi abbiamo la memoria corta, per cui forse ci siamo già dimenticati di quando proprio noi italiani affollavamo le navi per l'America, col sogno di una nuova vita al di là del mare: e ci siamo dimenticati di quanto ci guardavano male, perché eravamo poveri, brutti, sporchi, potenzialmente violenti o comunque portatori di problemi.
 Nessun essere umano lascia volentieri la terra dove è nato e cresciuto, dove ha la sua famiglia, i suoi amici, il suo lavoro. Se lo fa è perché è costretto: dalla fame, dalla povertà, dall'oppressione (che può essere interna o straniera). Anche questa è una costante della Storia.

Pensare di fermare la corrente della Storia con leggi, proclami, espulsioni, muri e fili spinati è come voler svuotare il mare con un cucchiaino da caffè.


5) I demagoghi ci incitano a lottare "per la difesa della nostra civiltà". E noi non ci rendiamo conto che la nostra civiltà è già morta. Morta di vecchiaia, morta di morte naturale, come è sempre successo e sempre succederà. Ha avuto la sua infanzia, la sua giovinezza, il suo momento di gloria, la sua maturità. Ora, anche lei, deve fare largo ai giovani.
L'Occidente ha fatto il suo tempo. Ora è il turno dell'Oriente, di nuovo, come è stato in passato.
 Non è e non sarà una cosa breve. I periodi di decadenza sono sempre lunghi, mai improvvisi. Spesso chi li vive non se ne rende nemmeno conto, proprio perché i tempi della Storia sono molto più lunghi di una normale vita umana.

Saperlo però ci aiuta a prepararci, ad allenare - se non noi stessi - i nostri figli a vivere nei tempi nuovi. Ci aiuta ad abbandonare i vecchi modi di pensare, ad aprirci al nuovo che sta arrivando.

E dobbiamo renderci conto che il cambiamento, l'integrazione, la mescolanza non avviene mai per imposizione dall'alto, ma per contatto quotidiano, dal basso, giorno dopo giorno. Avviene prima di tutto tra i bambini, ai quali non importa se i compagni di giochi hanno la pelle scura, gli occhi a mandorla e pregano Dio chiamandolo con un nome diverso.



Svegliamoci, dunque, e viviamo il nuovo giorno che sta nascendo.
E facciamo attenzione ai mostri : perché essi sono svegli quando noi dormiamo, ma se noi siamo svegli essi non possono fare del male.

domenica 3 luglio 2016

Economia e finanza, ovvero : ma siamo impazziti ??? Sì !

I romanzi, si sa, spesso raccontano la realtà molto meglio di aridi reportage sui giornali.

Un bravo narratore, e questa qualifica non è cosa da tutti, sa mettere in scena, attraverso vicende fittizie e personaggi immaginari, i mutamenti della società, l'evoluzione del pensiero, della morale, della mentalità delle persone: in una parola, la Storia.

In questi giorni sto leggendo il seguente libro: New York, di Edward Rutherford, Mondadori 2010

L'autore è noto per i suoi numerosi romanzi storici, dedicati ciascuno ad una città o ad un territorio (La foresta, London, Paris, Russka, Sarum) scritti sempre secondo la stessa formula: si parte dal primo insediamento in un dato luogo, magari dalla preistoria, e attraverso le vicende di alcune famiglie che si intrecciano tra loro (generalmente una famiglia ricca fin dagli albori e una famiglia povera sempre fin dagli albori), e usando come filo conduttore un particolare oggetto che passa di mano in mano attraverso le generazioni, si racconta la nascita, la crescita, lo sviluppo e l'esplosione di quel territorio o di quella città fino ai giorni nostri.

Nel caso di New York non poteva, ovviamente, mancare un capitolo in cui, grazie agli occhi dei personaggi, vediamo la nascita della Borsa, delle grandi banche oggi famose, dell'alta finanza.

Di seguito cito alcuni brani che narrano del rapporto tra un facoltoso mercante, rappresentante del vecchio modo di fare soldi, e i finanzieri della neonata Wall Street. Siamo intorno al 1880.



"Per come la vedo io, un uomo di Wall Street è uno scommettitore. Ne ho visti alcuni scommettere per un intero pomeriggio su quale goccia di pioggia sulla finestra sarebbe arrivata per prima in fondo. Un uomo di Wall Street è anche avido. Non c'è niente di male in questo. Senza avidità, dico sempre, non ci sarebbe civiltà. L'uomo di Wall Street però non ha la pazienza di lavorare la terra o di fabbricare le cose. E' intelligente, ma non è profondo. Investe in società, ma non si preoccupa molto di quello che sono, o di quello che fanno. Ciò che vuole è scommettere su di esse. Wall Street sarà sempre piena di giovani, che scommettono."
"Giovani ?" disse Frank "E degli anziani che ne facciamo, Gabriel ?"
"Bé, quando un giovane invecchia, tira su una famiglia, si assume delle responsabilità. E dopo cambia: è nella natura umana. Lo si vede di continuo. L'uomo con delle responsabilità non scommette nella stessa maniera. Il suo modo di operare è differente."
"In che senso ?"
Gabriel Love li guardò entrambi, e di colpo i suoi occhi azzurri si indurirono.
"Trucca le carte" disse bruscamente.

A Gabriel Love piaceva vendere allo scoperto. Se aveva la sensazione che il mercato stesse calando o, meglio ancora, se aveva delle informazioni riservate su un titolo che stava per avere dei problemi, allora si offriva di vendervi una quota di azioni, in una data futura, a un prezzo di molto inferiore a quello corrente. Scioccamente voi avreste pensato di aver concluso un affare. E, il giorno prefissato, il prezzo di quelle azioni sarebbe sceso molto più di quanto avreste immaginato, lui stesso le avrebbe acquistate a un buon prezzo e voi vi sareste trovati obbligati a levargliele dalle mani a un prezzo più alto di quello concordato, lasciando lui con un bel profitto e voi con una perdita cospicua. E per fare tutto ciò gli bastava scommettere o, più precisamente, truccare le carte, dal momento che lui sapeva qualcosa di quelle azioni che a voi non era dato conoscere.

Fattorini, venditori ambulanti, carrozze che trasportavano uomini d'affari come lui stesso. Era la vecchia New York, giusto ?
No, non proprio. Non più.
Passò davanti ad un edificio severo e massiccio. Numero 23. House of MORGAN. Mentre lo superava, Frank non poté fare a meno di chinare il capo. Sì, lui, uno dei Master, amico dei Roosvelt e dei Vanderbilt, non riusciva a trattenere un fremito di soggezione mentre superava gli uffici di Morgan. Quello era il problema. Quella era la ragione per cui non apparteneva più a quel luogo.
Ma suo figlio Tom sì.

Era stata la Guerra Civile a cambiare davvero Wall Street. La Guerra Civile e il West americano. Flussi massicci di capitale erano necessari per finanziare l'una e sviluppare l'altro. E dove si poteva trovare il capitale ? Solo in un posto, nel centro economico del mondo intero: Londra.
Era Londra che aveva finanziato l'America. Così come, un secolo prima, la ricchezza dell'America si era costruita sul grande triangolo Londra, New York e commercio dello zucchero - e più tardi sul commercio del cotone degli Stati del Sud - ora un motore nuovo e meno visibile, ma ugualmente potente, stava spingendo la corsa: il flusso di credito e di azioni tra Londra e New York.
Era qui che era cresciuta la House of MORGAN. Junius Morgan era un rispettabile gentiluomo del Connecticut che aveva riattraversato l'oceano e si era affermato come banchiere a Londra. Predisponeva prestiti da Londra all'America, e quei prestiti crescevano enormemente.
 Ma adesso al timone si trovava suo figlio. J.P. MORGAN stava diventando una leggenda del suo tempo. Erano J.P. Morgan e altri uomini come lui ora i re di Wall Street e, a causa loro, persino un agiato mercante come Frank Master non si sentiva più a proprio agio lì. Perché le operazioni dei banchieri e le alleanze industriali stavano diventando così grandi, le somme di denaro così imponenti, che i personaggi come Master non contavano più molto. I banchieri non compravano né vendevano merci: compravano e vendevano affari. Non finanziavano viaggi: finanziavano guerre, industrie, persino piccole Nazioni.



Ecco com'è nata l'alta finanza.
Ecco come si è perso il contatto con la realtà.
Io trovo aberrante comprare e vendere "cose volanti" al posto di merci concrete, di oggetti, di prodotti.
Trovo spaventoso che questa gente compri e venda industrie senza curarsi di cosa producono, e ovviamente senza tenere nella minima considerazione le persone che ci lavorano dentro. Anzi, le persone sono per loro un peso, un fastidio, qualcosa di cui liberarsi.
Trovo orribile che i finanzieri vivano nel loro Olimpo fatto di azioni, di titoli, di cambi, e che giochino (barando, oltretutto, come abbiamo visto) con la vita di milioni di persone solo per soddisfare la loro avidità (anche questo lo abbiamo visto).

Certo, ci sono altre categorie di persone che vivono in un loro Olimpo: i politici, gli attori, i calciatori. Ma loro, almeno, ogni tanto scendono in mezzo a noi,
I finanzieri no.

Possibile che non ci sia un limite, a questa loro avidità ?
Possibile che, dopo aver guadagnato così tanti soldi da sistemare i propri discendenti per i prossimi due o tre secoli, vogliano guadagnarne ancora, continuare a giocare, a scommettere ?

Questa mi sembra la stessa patologia che affligge il poveretto che si gioca i risparmi ai videopoker, o chi frequenta i casinò e i posti come Las Vegas.


Si è detto che l'attuale crisi ha avuto origine nell'alta finanza e ha poi infettato "l' economia reale".
Ecco, appunto.
Se le parole hanno un significato, definire la nostra economia quotidiana "economia reale" vuol dire che l'altra, quella dell'alta finanza, è un' "economia irreale", finta, immaginaria, fantastica.
Finta, immaginaria, fantastica, come i draghi e gli unicorni delle saghe fantasy, come Harry Potter e il gioco del Quidditch e la Scuola di Magia di Hogwarts.
Un tempo si credeva all'esistenza dei draghi, degli unicorni, delle streghe, e questa credenza condizionava la vita delle persone. Poi si è capito che erano solo storie, favole da raccontare ai bambini, e il mondo è andato avanti, c'è stata un'evoluzione, un progresso del pensiero umano.


Forse è venuto il momento di fare un altro passo in avanti. Di liberarci della finanza, dell' "economia irreale", e tornare a vendere e comprare prodotti, oggetti, merci.
Non significa tornare al baratto. I soldi ci sono, servono, non potremmo né potremo mai eliminarli. Ma che siano soldi "fisici", banconote e monete che passano di mano in mano, tra persone che si guardano negli occhi, che siano custodite in banche che facciano solo questo, custodire i risparmi dei propri clienti, senza azioni, senza titoli, senza operazioni strane.

Le aziende devono tornare ad avere successo, o fallire, non in base ai titoli in Borsa, comprati e venduti da chissà chi, ma all'impegno e alla capacità imprenditoriale dei loro proprietari, all'efficienza dei loro lavoratori (efficienza che si ottiene solo se i lavoratori stessi sono tranquilli sul loro futuro, se sanno di poter ricevere regolarmente lo stipendio, di poter fare progetti di famiglia, di non doversi preoccupare per i loro figli), all'innovazione continua.

Almeno, io penso che si debba fare così.